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La simbologia nascosta nell’abside di Santa Maria in Trastevere

Santa Maria in Trastevere, la chiesa madre del Rione, fu edificata nel 349 da Papa Giulio I sulla Domus Ecclesia fondata da Callisto I nel 220, quando venne a conoscenza di una fuoriuscita in quel luogo, nel 38 a.C., di liquido oleoso, interpretato dalla locale comunità ebraica come annuncio della venuta del Messia; per i Cristiani fu simbolo dell’avvento di Cristo, l’Unto del Signore.

Entrando nella chiesa si resta letteralmente abbagliati dal grande mosaico absidale bizantino.

Fatto realizzare da Papa Innocenzo II nel 1139, per celebrare la sua affermazione come unico pontefice, a seguito della morte “dell’antipapa” Anacleto II, nove anni prima protagonista dello scisma che vide l’elezione contemporanea dei due pontefici. Il mosaico è quindi simbolo della riconciliazione tra Cristo e la sua chiesa, tra il Salvatore e la sua sposa legittima, dopo la vittoria di Innocenzo.

Ma non è l’unica simbologia: lo sfavillante catino racchiude intense narrazioni. Un vero proprio rebus che va svelato passo passo

Nel mosaico appaiono seduti sul medesimo trono Gesù e Maria, sei santi e Innocenzo II.

Maria è qui simbolo della Chiesa e quindi, in quanto tale, sposa di Cristo. È contemporaneamente madre, sposa e figlia di Dio, più di come la definirà Dante: Vergine Madre, Figlia del Tuo Figlio.

Gesù e Maria si presentano allo sguardo dei fedeli nell’atteggiamento dell’imperatore bizantino e della sua imperatrice, adorni delle vesti gemmate e seduti su un trono intarsiato, come alla Corte di Bisanzio.

Cristo e Sua Madre tengono in mano rispettivamente un libro aperto e un cartiglio.

Sul cartiglio di Maria si legge: “Laeva eius sub capite meo, et dextera illius amplexabitur me/La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccerà”; sul libro di Cristo: “Veni electa mea et ponam in te thronum meum /Vieni, o mia eletta, e porrò in te il mio trono”: Maria, in quanto madre di Dio, lo ha tenuto in grembo e poi in braccio. Per questo è sede e trono della divina Sapienza, che è Cristo stesso.

Questi versi sono tratti dal Cantico dei Cantici, componimento poetico contenuto nel Vecchio Testamento, in cui un uomo e una donna, lo sposo e la sposa, simboli di Dio e del suo popolo e, nel Cristianesimo, simboli di Cristo e della Sua chiesa, si scambiano frasi d’amore: talvolta dolci, talvolta appassionate, ma sempre intense ed emozionanti.

Le frasi sottolineano i gesti della celeste coppia imperiale in cui vediamo Gesù che abbraccia la Vergine dopo averla posta sul trono accanto a lui. Il tema è quindi quello dell’incoronazione di Maria quale Regina degli Angeli, dei Santi e dei Martiri, subito dopo la sua assunzione in cielo, quando finalmente, dopo il doloroso pellegrinaggio terreno, si riunisce al suo amatissimo Figlio, nell’eterna gloria gioiosa del Regno di Dio.

Il cantico, che diede ispirazione a questa magnifica composizione, era quello che veniva intonato dai fedeli nella notte tra il 14 e il 15 agosto, in corrispondenza cioè della celebrazione dell’assunzione in cielo della Vergine. In quegli anni venivano organizzate in contemporanea due processioni, alla fine delle quali due sacre icone venivano fatte incontrare.

Nella fascia inferiore si leggono versi in latino “Haec in honore tui praefulgida Mater honoris regia divini rutilat fulgore decoris/In tuo onore, Madre della grazia divina, risplende per il fulgore delle decorazioni questa sede regale”; ”Cum moles ruitura vetus foret, hinc oriundus Innocentius hanc renovavit Papa secundus/Essendo l’antico edificio in rovina, il nativo di qui Innocenzo II lo restaurò

Per comprendere pienamente tale raffigurazione sacra è indispensabile considerare che nel mondo bizantino la manifestazione della santità viene svelata nell’icona nell’immagine stessa. Insomma, in Oriente l’immagine sacra è paragonabile alla Sacra Scrittura. Pertanto, così come il Vangelo è venerabile in quanto custodisce al suo interno la parola di Dio, alla stessa stregua anche l’immagine sacra è degna di venerazione, in quanto mostra a livello visibile il mondo trascendente.

Non è semplicemente una biblia pauperum, ma fulcro di un realismo simbolico; l’arte ha dunque il compito di incarnare il visibile dell’invisibile.

Per l’arte bizantina, quella in cui abitiamo non è la vera realtà, ma solo il mondo delle apparenze: tutto ciò che vediamo intorno a noi non sarebbe altro che il riflesso della vera realtà, quella trascendente.

Attraverso l’arte, quindi, la vista santificata diviene visione della vera realtà, quella divina. Pertanto le icone del Cristo e Maria rifletterebbero i loro veri volti.

L’immagine artistica bizantina è dunque ricettacolo dell’energia divina, del mistero dell’incarnazione in cui il logos divino si mostra nella carne umana, nella materia, l’eternità, nel tempo, nella trascendenza, nell’immanente, così come lo spirito si mostra nell’immagine sacra. In definitiva, in quanto sacra, l’immagine è veicolo della grazia divina.

Maria ha dietro il capo un nimbo, simbolo della sua condizione spiritualmente superiore, della sua regale sovranità consacrata dal Cielo. Il capo, inoltre, è sovrastato da un imponente diadema a fascia con doppio giro di perle e dai pendenti laterali che ricadono sulle spalle, che simboleggia l’autorità imperiale di cui viene investita dal Figlio. La sua veste dorata, simbolo di dimensione eterna, è allusione alla sua condizione regale, in quanto simile a quella delle imperatrici bizantine. È adorna di varie pietre preziose: rubini, simbolo di devozione, zaffiri, simbolo di sapienza, perle simbolo dell’incarnazione di Cristo, avvenuta tramite lei.

Quella di Maria è una mano narrante: ha pollice, indice e medio alzati, e anulare e mignolo stretti sul palmo. Ecco i significati:

  • un richiamo alla declaratio romana, momento culminante di un discorso; quindi Maria invita chi guarda al silenzio e all’ascolto della parola di Dio.
  • È simbolo della Trinità e delle due Nature del Cristo suo figlio, quella umana e quella divina.
  • Indica inoltre che Gesù sia la seconda persona della Trinità.
  • Infine, questa particolare posizione della mano anticamente corrispondeva al numero 8, simbolo dell’ottavo giorno, cioè della resurrezione, sia quella di suo figlio, sia quella che attendono tutti coloro che credono in lui

Madre e figlio sono avvolti, oltre che nell’oro, anche nella porpora più pregiata, che era destinata alle vesti imperiali. Il trono su cui siedono, simbolo di sovranità nella concezione cristiana, era assimilato alla santità. Sul trono veniva posto il Vangelo durante i Concili ecumenici. In virtù di ciò, il seggio era legato alla liturgia imperiale e all’Epifania del Basileus. Il trono era offerto alla vista dei più nobili tra i bizantini e agli ambasciatori stranieri, come una rivelazione trascendente: l’imperatore, in ieratica posa rituale, era a loro visibile dietro il velum, così come i fedeli scorgono Cristo e Sua Madre.

Il trono doveva rappresentare, nella sua forma e nei materiali, l’universo: la base quadrata a simbolo della terra, e l’arco che corona la spalliera, il cielo. Gli ornamenti del trono richiamano l’immagine iconografica della Gerusalemme celeste che è quadrata e tempestata di pietre preziose.

Dal lato di Gesù appaiono i Santi Pietro, Cornelio, Giulio e Calepodio; dal lato di Maria San Callisto, San Lorenzo e il Papa Innocenzo II, che tiene nelle mani la Basilica da lui riedificata. I santi Cornelio, Giulio, Calepodio e Callisto sono effigiati al lato della Diade celeste in quanto i loro corpi riposano all’interno della basilica; San Lorenzo è presente perché santo molto amato dai Romani, nonché Santo Patrono di Tivoli, città che fu salvata dalla distruzione grazie all’intervento di Innocenzo II. San Pietro in questo contesto è simbolo del papato istituito da Cristo stesso, primo della lunga serie di pontefici assistiti dallo Spirito Santo e regolarmente eletti, di cui Innocenzo è in quel momento l’ultimo esponente; il tutto ancora a sottolineare la validità della proclamazione di Innocenzo II quale unico vero papa.

Sulla veste di Pietro appare una iota maiuscola: è una “gammadia”, cioè una lettera greca con un significato preciso. In questo caso significa Jesus, cioè Gesù; inoltre, lo iota aveva valore numerico di 10, numero perfetto perché rappresentava i 10 comandamenti e i quattro Vangeli. Il numero 10 è ritenuto perfetto in quanto è il risultato della somma dei primi 4 numeri.

Anche i colori delle vesti dei santi hanno un significato preciso. Il bianco simboleggia la purezza, la vita nuova rinnovata dal Cristo, oltre al fulgore della pienezza e della gioia; il verde è simbolo dell’obbedienza di Gesù al Padre; il blu del mistero della divinità di Gesù; il rosso è simbolo del sangue di Cristo, quindi della sua umanità.

In alto, un padiglione policromo rappresenta l’empireo, sede splendente e beata di Dio padre da cui sporge una mano, sineddoche dell’Onnipotente che incorona il figlio Re dell’Universo; le nuvole rosse e blu rimandano alla doppia natura di Cristo ed evocano anche le gerarchie angeliche, rispettivamente dei Serafini e dei Cherubini. Alle spalle, uno sfolgorante sfondo d’oro, rappresenta l’eternità, la dimensione trascendente divina in cui eternamente vivono i beati, i redenti, i santi e gli angeli.

Nella fascia inferiore si vede l’Agnus dei con ai lati 12 pecore, simboli dei 12 apostoli, sei per lato, che provengono dalle città sacre di Betlemme e di Gerusalemme, rispettivamente Ecclesia ex circumcisione, simbolo del Vecchio Testamento, ed Ecclesia ex gentibus, simbolo del Nuovo Testamento.

In basso, si distende un prato verde con fiori e arbusti che simboleggiano per sineddoche l’intera creazione.

Al centro dell’arco trionfale c’è la croce con l’alfa e l’omega, simbolo di Gesù che è inizio e fine del tempo e dello spazio, della dimensione immanente, di quella trascendente. I 7 candelabri rappresentano le 7 chiese di cui parla l’Apocalisse: Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea, cioè per estensione tutta la Chiesa.

La corrispondenza numerica tra i candelabri e le figure accanto alla Diade divina sta a significare che accanto al Re dell’Universo è schierata, per sineddoche, l’intera sua Chiesa.

In alto compare il tetramorfo, ovvero i quattro simboli degli Evangelisti, il Leone per Marco, l’Angelo per Matteo, L’Aquila per Giovanni e il Toro per Luca.

In basso, rispettivamente a sinistra e a destra, sono rappresentati Isaia e Geremia, profeti dell’Antico Testamento che mostrano i cartigli contenenti iscrizioni relative alla Vergine e a Suo Figlio.

Le loro vesti recano la gammadia iota come San Pietro. Le palme al loro fianco rappresentano la vittoria sulla morte, la gloria della vita eterna e alludono all’uomo giusto che, radicato nella parola, si innalza in alto verso Dio “Il giusto fiorirà come la palma, crescerà come il cedro del Libano

Geremia ha un rotolo con l’iscrizione “Christus captus est in peccatis nostris”. Il verso è tratto dalle sue lamentazioni in cui afferma che l’Unto di Dio è stato catturato nei nostri peccati: ecco il significato dei due uccellini in gabbia che simboleggiano Gesù imprigionato nel suo corpo carnale, pronto a soffrire con esso e a sacrificarsi per il bene dell’umanità. Il cartiglio nelle sue mani recita una delle sue più note profezie su Maria “Ecce virgo concipiet et pariet filium/Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio

La presenza dei profeti Isaia e Geremia allude quindi all’incarnazione di Cristo e alla sua missione per la salvezza dell’umanità.

La rappresentazione che risplende dal 1139 nell’abside di Santa Maria in Trastevere fissa in un eterno istante la trascendente dimensione in cui vivono perennemente nella gioia e nella gloria Gesù, Sua Madre, gli angeli, i santi e i beati.

Un capolavoro, rifulgente d’oro e gemme preziose, simbolo degli inestimabili tesori spirituali che attendono coloro che, come indicato dalla mano parlante di Maria, ascoltano e praticano la parola di Dio.

Anna Maria

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