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Anita Garibaldi, una vita per la libertà

Illustrazione di Marco De Vincentiis

Non tutti i Romani sanno che il Gianicolo, l’ottavo colle di Roma, fu strenuamente deputato da Giuseppe Garibaldi affinché divenisse il Colle simbolo dell’Unità d’Italia. E fu per volere di suo nipote, Ezio Garibaldi, che sul Gianicolo venne realizzato il Mausoleo Garibaldino che accoglie i resti di molti di coloro, Goffredo Mameli incluso, che hanno dato la vita per la realizzazione di questo nobile ideale.

Ma sul Gianicolo c’è un’altra tomba, importante, imponente e bella: è quella di Anita che ha dato la sua vita per un paese che non le apparteneva ma che tanto caro era al suo amato.

Ma chi era Anita Garibaldi?

Ana Maria de Jesus Ribeiro era nata nello stato di Santa Caterina, in Brasile, il 30 agosto 1821. Da subito mostrò il suo carattere forte e volitivo, tale da imbarazzare la madre, rimasta vedova e legata agli schemi. Anita, battagliera nell’animo, abbracciò gli ideali di giustizia sociale ai quali lo zio materno la iniziò, in un paese che, seppur liberatosi dal dominio portoghese, era governato dal pugno di ferro del re.

E fu proprio mentre festeggiava col suo popolo la battaglia vinta, che Garibaldi la vide. Un colpo di fulmine tra terra e mare. Sbarcò dall’Italparica, il Generale, e la cercò tra la folla, dove l’aveva scovata il suo cannocchiale, e finalmente quando la trovò fu come rincontrare l’anima che aveva perduto, la propria anima. Complementari l’uno all’altra vissero del loro unico ideale: la libertà. Bella lei, mora, il volto ovale e i grandi occhi neri. Irresistibile per lei il famoso più che trentenne generale, l’eroe, che combatteva per il popolo, per la giustizia. A dispetto di ogni convenzione e di ogni regola, iniziarono la loro vita insieme, con tutti i rischi, perché Anita, ahimè, era convolata a nozze a soli 14 anni e non era libera. Ma quello era amore, quello con la “A” maiuscola, e Anita e José seppero riconoscerlo. Ebbero 4 figli, una vita difficile, povera, ma ricca di contenuti, perché gli ideali riempiono il cuore e dànno la forza e la gioia. Non l’effimera agiatezza che Garibaldi avrebbe potuto garantire alla sua famiglia, se solo avesse accettato i compensi che i popoli per i quali combatteva gli offrivano spontaneamente, ma la dignità dell’uomo, la forza del combattente, spinto da quell’ideale di unità e di patria che pochi hanno nel cuore.

Anita arrivò a Roma dal suo Josè, poiché lei non aveva sposato solo l’uomo, ma anche la sua causa. Era al quarto mese di gravidanza. Garibaldi se la ritrovò di fronte, inaspettata, e tra il disappunto, la preoccupazione e la gioia, la presentò alla sua truppa: “questa è Anita. Da oggi avremo un soldato in più”. E sì, perché questo era Anita, un soldato, un capo, una donna forte e coraggiosa, capace di saper imporre il suo volere e di contrapporlo anche al marito che fronteggiava con amore e caparbietà.

Dopo la disfatta della Repubblica Romana, Garibaldi spronò i reduci a seguirlo nell’avventura unificatrice di quell’Italia spezzata, in mano allo straniero, ma che lui e Anita sentivano unica “chi ha l’Italia non solo sulle labbra ma nel cuore, mi segua”. E Anita lo seguì, ovviamente. Si tagliò i capelli, si vestì da uomo, e nonostante la quinta gravidanza ormai evidente, si mise alla guida dei suoi soldati, accanto a suo marito, alla ricerca di un sogno.

Ma nell’affannosa marcia verso la laguna veneta trovò la morte, al sorgere dei suoi 28 anni.

Una vita breve, ma intensa. Ricca di passioni. Perché passione era, Anita Garibaldi!

Anna Maria

vedi anche pubblicazione su RomaToday

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