“Ora preparatevi a fare la mia commemorazione funebre”
Con queste parole Giacomo Matteotti, rivolgendosi ai compagni di partito, concluse il suo ultimo, duro, discorso in Parlamento il 30 maggio 1924, consapevole che per lui non ci sarebbe stato più futuro
Non sbagliò.
Alle 16:00 del 10 giugno Matteotti uscì di casa per andare alla Camera dei deputati (doveva preparare il suo discorso del giorno dopo) e giunto sul lungotevere trovò ad attenderlo un drappello di uomini che lo caricò forzatamente in un’auto dove fu accoltellato durante un pestaggio avvenuto nell’abitacolo.
Il suo corpo fu ritrovato a distanza di oltre due mesi
Il discorso pronunciato alla Camera dei deputati fu solo l’epilogo o se vogliamo l’appiglio per togliere di mezzo il personaggio scomodo che rappresentava Matteotti
Nelle elezioni del 6 aprile, infatti, il partito matteottiano si era affermato come il più forte partito dell’opposizione di sinistra. Il successo era stato riscosso soprattutto nelle grandi città del nord e quindi il PSU – Partito Socialista Unitario – dimostrandosi capace di attrarre i ceti medi produttivi, era diventato un pericoloso competitor per il partito di governo
Il discorso pronunciato quel giorno era solo la denuncia ufficiale ed ultima di quello che quotidianamente avveniva sulla stampa a fruizione del lettore socialista: l’efferatezza del fascismo che aveva già visto Matteotti vittima delle azioni del cosiddetto squadrismo. Nel marzo del 1921 infatti aveva subìto pesanti violenze fisiche mirate a farlo desistere dalle sue azioni. Ma nell’ottobre dello stesso anno il suo intervento al Congresso di Milano del PSI fu interamente dedicato alla difesa della libertà messa in pericolo dal nascente fascismo, ritenendo che potesse essere respinta solo con una risposta unitaria delle organizzazioni proletarie e chiedeva “aiuto” in tal senso
Secondo Matteotti, la lotta del proletariato doveva salvaguardare anche le garanzie democratiche borghesi e questo sarebbe diventato il collante tra la lotta socialista e quella borghese
Il suo obiettivo era salvaguardare il valore dei principi della democrazia e per questo si pronunciò senza esitazione contro tutte le ideologie totalitarie
Nel discorso del 30 maggio, infatti, Matteotti denunciò i brogli nelle ultime elezioni e, peggio ancora, violenze e intimidazioni avvenute durante la campagna elettorale.
“Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. […] L’elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. […] Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà… […] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse»
Temeva quel che avvenne, Giacomo Matteotti: l’ascesa del fascismo verso il potere assoluto.
La responsabilità, nonostante il diniego, degli accadimenti a 10 gg da quel discorso e le vicende successive sono la palese ammissione di responsabilità di un complotto organizzato ancor prima del discorso pronunciato: Matteotti era un personaggio scomodo con forte ascendente, un avversario pericoloso che diceva la verità e doveva essere eliminato perché non c’erano armi diverse che avrebbero potuto combatterlo
La tempistica e le modalità con cui avvenne il rapimento e l’omicidio Matteotti dimostrano che il movente è ben più complesso di quello strettamente politico e che certamente il progetto criminale non prese avvio dal discorso del 30 maggio.
In verità Matteotti in gran segreto andò a Londra dal 22 al 26 aprile 1924 con l’obiettivo di creare una rete antifascista all’estero con il sostegno dei laburisti e dei sindacati britannici, disilluso dalla mancanza di progresso dell’opposizione parlamentare in Italia contro Mussolini. Questa sua decisione di correre il rischio, nonostante fosse privato del passaporto, sottolinea l’urgenza del suo impegno per la democrazia.
Matteotti fu uno dei più audaci detrattori del regime ed ebbe il coraggio di denunciare le frodi elettorali e la corruzione nel governo di Benito Mussolini.
Il perseguimento di questo intento fu alla base della sua eliminazione: Matteotti non doveva assolutamente intervenire alla Camera alla riunione dell’11 giugno e nel sequestrarlo furono sottratti anche i documenti che aveva con sé – mai più ritrovati – che avrebbero dato prova tangibile delle sue parole
Alla morte di Matteotti e al ritrovamento del suo corpo a distanza di più di due mesi e di più di 20 km dal luogo del sequestro, seguì un processo farsa, voluto da Mussolini celebrato a Chieti, città periferica alla vita politica e fortemente “fascistizzata”. Terminò nel 1926 con l’assoluzione di due dei cinque imputati –Malachia e Viola – e la condanna degli altri tre – Dumini, Volpi e Poveromo – a poco meno di 6 anni di reclusione. Condanna mai scontata, perché di lì a breve ci fu un’amnistia che rimise tutti in libertà.
Ma ci fu un secondo processo celebrato tra il gennaio e l’aprile del 1947 che condannò tutti i “sopravvissuti” all’ergastolo, poi commutato in 30 anni
Il caso Matteotti condizionò profondamente la storia d’Italia e ha di fatto precipitato il Paese in una crisi sfociata nella dittatura che ha abbattuto lo Stato liberale e ha costruito il regime a partito unico
Sono trascorsi 100 anni da quei giorni. Ma questa è una pagina della storia che tutti dovrebbero conoscere. Tutti, soprattutto, dovrebbero conoscere la storia di un uomo che è stato uno dei padri della nostra democrazia, un grande politico e intellettuale di notevole valore. Un uomo giusto.
Anna Maria
Fino al 16 giugno è allestita a Palazzo Braschi una mostra in occasione del centenario: la rassegna, ricca di materiale inedito, annovera documenti originali, con particolare riferimento agli atti istruttori e giudiziari, fotografie, manoscritti, oggetti, libri d’epoca, articoli di giornali e riviste, filmati e documentari, opere d’arte, sculture, ceramiche, quadri, nonché brani musicali dedicati al leader politico.