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Il trionfo della Galatea

La veste rossa gonfiata dal vento, a simulare una vela, il corpo statuario d’ispirazione michelangiolesca, le braccia tese a guidare i delfini che trainano sull’acqua il cocchio a forma di conchiglia e un festoso corteo di tritoni, nereidi e amorini che ne celebra il trionfo.

È Galatea, la bellissima ninfa del mare, in fuga dall’amore del Ciclope, invidioso di Aci, il giovane amato dalla Nereide, ucciso da un macigno scagliato da Polifemo e trasformato in un fiume che ne conserva il nome.

Il mito, raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, giunse ai pennelli di Raffaello che lo tradusse in un affresco carico di suggestioni, dal ritmo vorticoso che sa di danza.

Il trionfo della ninfa “dalla pelle bianco-latte” (questo è il significato del suo nome) è posto accanto ad un maestoso Polifemo, realizzato da Sebastiano del Piombo, condannato a guardare per l’eternità la fuga dell’amata che rifiutò il suo amore.

Un capolavoro assoluto, quello di Raffaello che pone al centro della rappresentazione, quasi teatrale, la ninfa sul cocchio trainato dai delfini e con l’amorino Palemone che sembra indicare la via di fuga.

La Ninfa, protagonista dell’affresco, si innalza imponente dalla superficie marmorea del mare evocando una classicità mitica, enfatizzata dai toni cristallini, quasi irreali, che sono frutto di un’approfondita conoscenza, da parte di Raffaello, della pittura romana antica.

Il movimento sinuoso del manto, gonfiato dal vento, accompagnato dal lieve ondeggiare dei capelli di Galatea, è ripreso dal gesto della vicina nereide, che solleva un braccio mentre, rapita da un tritone, cerca di divincolarsi.

Ad avvolgere la fanciulla, come in un abbraccio, un festoso corteo di tritoni e nereidi. I corpi possenti, nerboruti, delle figure risentono di influssi michelangioleschi, addolciti tuttavia dalla delicatezza e dal senso della misura del Sanzio che permea i suoi personaggi di un’aggraziata naturalezza.

Tre amorini, in procinto di scagliare dardi amorosi contro Galatea, sorvegliano la ninfa dal cielo.

Ma è al quarto putto che è rivolto lo sguardo casto della ninfa: nascosto dietro una nuvola, sorregge un fascio di frecce, a simboleggiare la castità dell’amore platonico.

Baldassarre Castiglione rimase a tal punto estasiato dalla perfezione della Galatea da chiedere a Raffaello quale fosse stata la sua modella. Tuttavia l’Urbinate rispose che la fanciulla era semplicemente frutto di una sua idea.

Mentiva, Raffaello, anche al suo caro e stimato amico, autore de Il Cortigiano.

La Galatea ha il volto – e fors’anche il corpo – di una donna tanto amata e tanto nota a Roma: la cortigiana Imperia. Non a caso si richiama, anche nella sua posa statuaria in lieve torsione verso sinistra, alla Santa Caterina di Alessandria – l’olio su tavola oggi alla National Gallery – avvolta in una veste rosso pompeiano, alla quale ha prestato notoriamente il volto la più bella e ricca cortigiana di Roma, che ebbe come amanti, contemporaneamente, il Magnifico Agostino Chigi, Raffaello e il Cardinal Inghirami.

La storia vuole che a Villa Farnesina – la sontuosa villa “di delizie” che il ricco banchiere Agostino Chigi si era fatto costruire tra il 1509 e il 1512 da Baldassarre Peruzzi, su un terreno circondato da giardini sulle sponde destra del Tevere – Raffaello pretese la presenza della cortigiana e che l’artista la impose come conditio sine qua non per ritrarre l’immagine assoluta della bellezza.

Il banchiere non poté che soggiacere alla pretesa, perché il desiderio di vedere la mano dello stimato amico sulle pareti della villa, che aveva fatto costruire per condurvi quella che sarebbe diventata sua moglie, era ben più forte dei timori delle rimostranze della madre dei suoi figli.

E quel che il divin pittore realizzò fu un capolavoro assoluto che ha giustamente dato il nome alla loggia superando in bellezza i tanti altri capolavori densi di significato che si trovano nella sala, realizzati dalle mani di Baldassarre Peruzzi e Sebastiano del Piombo.

Anna Maria

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