Realizzata a tecnica mista su tavola nel 1520, la pala reca la firma autografa con la data di un Tiziano giovane ma già molto affermato: “”ALOYXIUS GOTIUS RAGOSINUS / FECIT FIERI / MDXX / TITIANUS CADORINUS PINSIT”.
È un dipinto molto particolare, unico, tra le pale più impressionanti dell’artista, che conferma la sua grandezza di pittore rinascimentale, ancorché già pittore ufficiale di Venezia.
Il committente, Aloisio Gozzi – mercante dal nome italiano ma croato di nascita – è inginocchiato e assiste all’apparizione miracolosa della Vergine con il Bambino, ispirata alla Madonna di Foligno di Raffaello. Alle sue spalle, San Biagio, protettore di Ragusa, oggi Dubrovnik, gli indica la scena sacra; di fronte a loro, San Francesco evoca la destinazione finale dell’opera: la chiesa di San Francesco ad Alto
Sembrerebbe una mera autocelebrazione del committente, ma Tiziano – orgogliosamente veneziano – pone simboli bel evidenti che trasformano il dipinto, realizzato per una chiesa di Ancona, secondo porto dell’Adriatico in ordine di importanza, in una narrazione delle dinamiche politiche di questo mare
La compresenza delle tre città adriatiche – Ancona, Ragusa e Venezia – oltre ad alludere alle tre città in cui è attivo il committente, costituisce un grande messaggio politico: le città svolgono i propri traffici, convivono grazie alla potenza, alla forza e al controllo pacifico ma onnipresente della Serenissima. È un’affermazione della presenza in Adriatico della città veneta, ma anche della rete di legami e di contatti e dell’importanza delle altre due grandi città mercantili adriatiche, Ancona e Dubrovnik.
Nel centro della Pala Gozzi, collocato in basso, spicca un giovane ramo di fico nato da un vecchio tronco, ramo che si staglia contro il fondo mostrando le foglie nuove ed un piccolo frutto. L’albero di fico nella storia dell’arte ha moltissimi significati che variano a seconda del contesto in cui è inserito. La sua presenza nell’opera è stata dunque letta sotto diversi punti di vista. Ad esempio, in relazione alla figura di Luigi Gozzi, è simbolo di redenzione e salvezza in vista del perdono richiesto per i peccati commessi in vita. Secondo altri studiosi la pianta avrebbe invece un legame con la città di Venezia, simboleggiata dal bacino di San Marco, in relazione a un passaggio del Vangelo di Giovanni nel quale i discepoli riconoscono l’autorità di Cristo dopo averlo visto seduto sotto a un fico. Secondo questa lettura, la veduta di Venezia al di sotto dell’albero potrebbe alludere alla sua individuazione quale città eletta, collocata tra Ancona e Ragusa nel quadro più ampio delle politiche economiche e commerciali del tempo.
Guardando più da vicino, si notano ai lati del fico altre due piante: a sinistra è una pianta nota come pepe d’acqua, simbolo di potere, mentre sulla destra una varietà di cardo, il crispus, associato al sole. Quindi le due piante hanno significato simbolico legato ai protagonisti.
È uno dei capolavori di Tiziano, dove la sua pittura si dispiega al meglio anche grazie al fatto che conosce, venendo a lavorare nelle terre del Centro Italia, la pittura di Raffaello e dialoga con essa, pur mantenendo la tonalità tipica della pittura veneta.
Tiziano è ricordato anche come il maestro del colore per la sua straordinaria capacità tecnica nella costruzione delle figure attraverso differenti tonalità. Continua la tradizione veneta del colore, affinando la pittura tonale introdotta dal suo maestro Giorgione. Secondo questa, le luci, le ombre e la profondità spaziale sono date dalle variazioni cromatiche, tecnica che si differenzia da quella fiorentina che predilige invece il disegno.
Tiziano stende i colori senza disegni preparatori, dipingendo quasi d’istinto e arrivando poi, col tempo, a una completa evoluzione stilistica.
Dalla precisione dei dettagli restituiti nella Pala Gozzi – nelle opere tarde il colore verrà steso in modo rapido e a volte impreciso, con poco scrupolo dei contorni – ne scaturisce una pittura di grande espressività e immediatezza, che renderà le sue opere uniche nella storia dell’arte.
Anche nella Pala Gozzi il colore è il protagonista, dal cielo illuminato da una calda luce del tramonto, alle pennellate che definiscono i volti dei protagonisti. La sua tavolozza è ricchissima. Numerosi sono gli accostamenti cromatici, ma tra le tinte usate dal pittore, uno in particolare caratterizza tutta la sua produzione: il rosso.
Qui è espresso nella veste della Madonna: un colore che prende poi il nome proprio dell’artista, rosso Tiziano. È una tinta calda, morbida ed elegante, probabilmente preparata unendo la terra di Siena, la terra di Siena bruciata e la terra rossa, a volte con l’aggiunta del nero o del rosso cinabro.
Il maestro veneto usa questa tonalità sia nelle opere a carattere religioso che nei ritratti, dove assume un significato diverso a seconda del soggetto rappresentato facendo passare alla storia il rosso che porta il suo nome
Quasi sconosciuto e poco accessibile, se non agli addetti ai lavori, il retro è il lato nascosto di un’opera che può rivelare la storia stessa di un lavoro artistico o riservarci, come in questo caso, delle sorprese. Come quello della Pala Gozzi, il suo “punto di forza” visibile grazie allestimento progettato dall’architetto Massimo Di Matteo alla fine degli Anni Ottanta e, a seguito dell’accurato lavoro di restauro condotto nel 1987 da Carlo Giantomassi e Donatella Zari, si ha una prospettiva inusuale a 360 ° che offre la possibilità al visitatore di ammirare la struttura della grandiosa pala, nonché di scoprire le curiosità ivi nascoste.
In origine rettangolare, la Pala venne nel 1703 decurtata nella parte superiore, trasformandola in forma centinata, probabilmente per adattarla ad un nuovo altare della Chiesa di San Francesco ad Alto. Originali invece sono tutte le strutture del supporto, costituito da 9 tavole di pioppo poste orizzontalmente e tenute insieme da farfalle di faggio messe lungo le giunzioni a distanze regolari legate da una struttura importante di abete e resa solidale al dipinto da ponticelli. Direttamente disegnati sulle tavole sono invece degli schizzi preparatori di figure, volti, caricature cinquecentesche coevi all’esecuzione del dipinto, ma di mani differenti realizzati a matita, carboncino e lumeggiato a pennello e su tutte stupisce quella testina di bambino dalle guance paffute e lo sguardo dolce, con un accenno di sorriso, con una torsione del visino rispetto alle spalle così naturale e perfetta.
Un bozzetto di qualità decisamente superiore agli altri e con ogni probabilità di mano dello stesso Tiziano, che forse ha voluto qui mostrare, magari esercitandosi, la prima idea avuta: un piccolo Gesù bambino in una prima stesura del dipinto, un dettaglio inaspettato quello lasciato dal grande maestro veneto, capace di sorprenderci ed emozionarci anche con un piccolo disegno.
Una curiosità: celebrati in piena pandemia i Cinquecento anni della pala di Tiziano, per non privare gli Anconetani dei festeggiamenti, il dipinto ha percorso le strade della città in una muta processione che ha sorpreso il cuore dei suoi cittadini.
Anna Maria
Visita guidata tematica: Capolavori svelati – Mostra ai Musei Capitolini fino al 31 agosto 2025