Nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, in fondo ad una sala, solitaria e silenziosa, su una parete bianca, è esposta “L’estasi di Santa Cecilia” di Raffaello.
Di una bellezza mozzafiato, densa di significati, che la sensibilità umana percepisce al suo cospetto, sentendo vibrare le corde dell’animo che si ripercuotono intensamente fino a comunicare alla mente che, ragionando, individua.
Di un calmo e raffinato classicismo, lascia ammutoliti, quasi ad obbedire ad un paradossale invito al silenzio della protettrice della musica.
Santa Cecilia, bella di una bellezza non umana, con un abito color giallo oro, è al centro di una sacra conversazione molto serrata, rappresentata a piena figura e, abbandonati gli strumenti musicali, volge uno sguardo appassionato al cielo, coi grandi occhi scuri, dove un coro di angeli sta intonando una melodia celestiale.

La mano lascia cadere un organetto, dal quale si stanno sfilando due canne, mentre ai suoi piedi giace una straordinaria natura morta di strumenti musicali vecchi o rotti – una viola da gamba senza corde, un triangolo, due flauti sbocconcellati, dei sonagli, due tamburelli con la pelle lacera – poetico anticipo di un più tardo naturalismo caravaggesco e metafora della caducità della musica “terrena”, simbolo delle passioni umane (i flauti, i tamburelli ed i cembali, sono connessi al culto di Bacco), rispetto a quella “celeste”.

Gli sguardi e i gesti esaltano il misticismo di tutti gli altri personaggi, ben riconoscibili per i loro attributi iconografici, disposti a semicerchio – che rievoca la forma della “cantoria” celeste – intorno a Santa Cecilia, l’unica a poter udire la musica degli angeli: da sinistra San Paolo, vestito di camice verde con il tipico manto rosso, regge con il palmo della mano sinistra la spada, tenendo fra le dita un cartiglio con l’iscrizione, ora illeggibile, Ad Corinth, evidente allusione alla forza della fede di chi crede pur non avendo visto. Ha un atteggiamento meditativo e dà le spalle allo spettatore; San Giovanni Evangelista con un libro ai suoi piedi dove compare l’aquila, il cui sguardo incrocia quello di sant’Agostino, sul lato opposto.

Lo “stipite della chiesa” è vestito di un pesante piviale e reca il bastone pastorale; è affiancato da Maria Maddalena che tiene in mano l’ampolla degli unguenti ed è l’unica con lo sguardo rivolto verso lo spettatore il cui movimento delle vesti la fa sembrare “appena giunta” al raduno della Sacra Conversazione.

La scelta dei quattro santi non è casuale: è infatti legata alla tematica dell’ascesa celeste e dell’estasi. Secondo la tradizione, Giovanni e Maddalena sono ascesi in cielo, mentre Paolo e Agostino hanno avuto delle visioni dirette di Dio, il primo sulla via di Damasco, il secondo sulle rive del mare di Ostia, dove gli apparve il Bambin Gesù che gli dimostrò con un esempio l’incomprensibilità umana della natura di Dio.
Sullo sfondo del quadro si scorge chiaro un paesaggio collinare con il profilo di una chiesa all’orizzonte, probabilmente quello del santuario di Santa Maria del Monte a Bologna, in riferimento alla committenza.
Il paesaggio ricorda quelli delle opere di Leonardo da Vinci, che Raffaello conobbe e studiò, e che affonda le radici nella ritrattistica umanistica del Quattrocento ma ormai reso nei pittori del Rinascimento con una precisione che si potrebbe definire scientifica per i particolari geologici e naturalistici incorporati.
Il dipinto, olio su tavola trasportata su tela, databile intorno al 1514, fu commissionato a Raffaello dalla nobile bolognese Elena Duglioli dall’Olio, donna dalla forte fede che scelse di vivere una vita spirituale simile a quella della santa, tanto da prendere il voto di castità nel matrimonio; una sorta di sposa-vergine come Santa Cecilia, della quale custodiva anche una preziosa reliquia.
Il paesaggio è dominato da un ampio cielo blu, nel cui mezzo si apre, in uno sfavillante bagliore solare, il coro degli angeli intenti a leggere uno spartito.
Il numero degli Angeli non è casuale: Raffaello, come altri artisti dell’epoca, era una persona colta e le opere di Madonne o Santi attorniati sempre da sei Angeli sono molteplici perché dovevano rappresentare verità o interpretazioni teologiche ben codificate. Il numero sei riferito agli Angeli lo si ritrova anche nel campo della cabalistica e dell’astrologia. I Serafini, gli Angeli che nella Gerarchia Celeste sono al primo posto, venivano dipinti nell’immaginario medievale con sei ali come raccontato da Isaia: “Dei Serafini stavano davanti a Lui, avendo ognuno sei ali, due per coprirsi il volto, due per coprirsi i piedi, due per volare”.
Nel dipinto non v’è presenza fisica di Cristo, nemmeno con un simbolo tradizionale come la croce o la colomba, ma è implicitamente contenuta nell’animo della santa, così come la musica che non risuona materialmente.
La tematica dell’estasi è quindi interiorizzata e trova riscontro nell’attenuazione della mimica e dei movimenti, tutto è all’insegna di una sobrietà e di una calma che non può non coinvolgere chi osserva il dipinto e rendendola un’opera estremamente innovativa.
L’occhio dello spettatore, nonostante il punto focale sia lo sguardo di Santa Cecilia, non fa altro che scorrere ripetutamente dagli strumenti musicali al coro angelico, come sospinti da una forza misteriosa in questa ascesa che rende partecipi all’evento, pur non potendo udire i suoni celestiali degli Angeli.
Incaricato della consegna alla committente fu Francesco Francia, amico del padre di Raffaello: quando si trovò al cospetto del dipinto – aveva invitato i suoi allievi e alcuni amici, orgoglioso dell’incarico ricevuto dal grande pittore – comprese immediatamente la complessità del messaggio e l’emozione fu tanta che fu colto da infarto e morì
Anna Maria
visita tematica: Raffaello e la Fornarina: un amore che resiste