Morto Romolo – favolisticamente asceso al cielo per occupare un posto nell’Olimpo come Dio Quirino – Roma è senza re e bisogna eleggerne uno nuovo.
Sì, sì, eleggere, perché la monarchia romana era elettiva, come il pontificato!
Come da accordi presi tra quei due primi re, Romolo e Tito Tazio, il nuovo eletto doveva essere sabino. La scelta cadde su Numa Pompilio, imparentato con Tito Tazio, avendone sposato la sorella, secondo alcune fonti, la figlia, secondo altre.
Numa Pompilio aveva una buona reputazione, era considerato un uomo pio, dedito agli dei e quindi era un nome talmente prestigioso che mise tutti d’accordo.
Totalmente avulso alla guerra, sotto il suo regno regnò la pace. Questo perché, una volta eletto, Numa Pompilio si rese subito conto che la società romana doveva essere stabilizzata, dando pace, calma e garantirne un buon funzionamento. Per fare ciò – gli autori antichi sono tutti concordi – utilizzò la religione, perché se gli uomini hanno il timor di dio, seguono più facilmente i precetti, diventando più gestibili.
Per questo motivo buona parte dell’opera di Numa Pompilio è consistita nella creazione degli ordini religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i Feziali e i Pontefici.
Ogni ordine aveva compiti diversi.
I Curiati, preposti ai sacrifici pubblici, ed erano trenta, uno per ogni Curia.
I Flamini erano i sacerdoti preposti al culto di una specifica divinità da cui prendeva il nome e di cui celebrava il rito e le festività.
I Celeres erano un reparto militare composto da 3 centurie, risalente all’epoca romulea, che aveva come compito principale far da guardia del corpo al re.
Le vergini Vestali erano donne scelte fin da bambine, che avevano come compito fondamentale quello di tenere acceso il fuoco sacro di Roma. Guai se si fosse spento: sarebbe stato un terribile presagio. Inoltre, avevano il compito di preparare i cibi utilizzati durante le varie funzioni religiose. Le vestali, per il loro ruolo prestigioso, avevano grandi privilegi: erano le uniche donne che potevano fare testamento, chiedere la liberazione di un condannato, girare liberamente per la città, ma oltre a non far mai spegnere il fuoco, dovevano assolutamente essere e rimanere caste: il venir meno a questi impegni, prevedeva per loro la condanna a morte.
Gli Auguri erano i sacerdoti capaci di interpretare i segni degli dei, importantissimi in quanto venivano consultati prima di fare qualsiasi cosa importante. Traducevano i messaggi divini individuati nei fulmini, tuoni e nuvole, ovvero tutti segnali provenienti dal cielo; sicuramente, gli appartenenti a questo ordine religioso dovevano essere etruschi, visto che la divinazione era pratica di quel popolo che certamente occupava il territorio romano prima di essere conquistato dal Primo Re.
Con Numa Pompilio, ogni cittadino romano era al contempo anche un soldato. Pertanto, in tempo di pace, aveva obblighi “civili”: lavorare e rispettare determinate norme e tradizioni; quando invece si era in guerra, cambiavano gli obblighi, anche perché si passava sotto la protezione di un altro dio: Marte. A questa funzione, Numa Pompilio aveva designato i Salii, mentre i Feziali erano preposti a far rispettare il “diritto internazionale”, ovvero il rispetto delle regole delle popolazioni vicine, incluso il diritto di guerra, perché anche per muovere guerra bisognava rispettare determinati regolamenti. Un sacerdote feziale era quello che lanciava l’offensiva ovvero, letteralmente, lanciava l’asta nel territorio nemico: questa era la dichiarazione di guerra. I Feziali avevano dunque il compito di osservare e far osservare tutta una serie di norme che erano, per valore e di importanza, perfettamente equiparabili al nostro diritto di guerra.
Coordinatore di tutti gli ordini era il Pontefice Massimo, figura istituita proprio da Numa Pompilio. Il ruolo lo si deduce dalla radice del nome: ponte. Era infatti il sacerdote esperto di tutti gli altri ordini, aveva una visione generale, doveva coordinare i vari sacerdoti tra di loro: era, di fatto, il supervisore degli ordini religiosi e dispensava consigli riguardanti il diritto. Era una vera e propria carica e per questo doveva essere eletto.
Ma l’opera di Numa Pompilio non si esaurì nella istituzione e regolamentazione degli ordini religiosi. A lui si deve la raccolta in forma scritta delle leggi istituite da Romolo che, unite alle sue, costituì il Commentarius -Numae, un’opera – non si sa se vera o inventata – che aveva l’obiettivo di rafforzare, attraverso una serie mirata di riforme, soprattutto in campo religioso, le istituzioni della nuova città; questo codice sarebbe andato distrutto con il sacco dei Galli del 18 luglio del 390 a.C. A lui si deve anche un’opera di sette libri chiamati “libri pontifici” base dello ius pontificium o diritto pontificale.
Scrisse molto il nostro Numa? Pare proprio di sì e visse anche molto: almeno ottant’anni, dopo aver governato per quaranta, benché alla sua elezione avesse rifiutato la carica in quanto si riteneva vecchio.
Altre due novità importanti sono l’introduzione di un sacerdote del dio Quirino, che assieme a Giove e Marte costituì la prima triade capitolina e il divieto di rappresentare le divinità con sembianze umane o animali.
Ma la riforma di maggior pregio che si deve a Numa Pompilio è sicuramente quella del calendario. Fissò il conteggio del tempo romano dalla fondazione di Roma, AB URBE CONDITA e, posto che l’anno iniziasse dal mese di marzo – e di questo ne abbiamo prova da come chiamiamo ancor oggi gli ultimi quattro mesi dell’anno che nella loro radice contengono il numero al quale corrispondevano (sette=settembre) – con gli esperti astronomi, rendendosi conto che il ciclo a dieci mesi non fosse esatto, ne aggiunse: gennaio e febbraio.
L’anno così stabilito arrivava a 355 giorni e non corrispondeva quindi al corso effettivo dell’intero ciclo lunare, perciò ad anni alterni veniva inserito il mese del mercedonio, togliendo 4-5 giorni a febbraio, la cui gestione era affidata al collegio dei pontefici.
Alle riforme religiose volute da Numa Pompilio, fece seguito un periodo di grande pace e prosperità per la città che iniziò ad arricchirsi e ad espandersi, basti pensare che durante tutto l’arco del suo regno le porte del tempio di Giano non vennero mai aperte.
Morì di morte naturale e al suo funerale oltre al nipote e futuro re Anco Marzio e al popolo romano che, colmo di gratitudine per quanto aveva fatto, lo pianse, vennero a rendergli onore anche i rappresentanti dei popoli vicini, segno di profondo rispetto per quello che era stato un grande re.
Come per il suo predecessore, ancora oggi la comunità degli storici è fortemente combattuta in merito ad alcuni aspetti della figura di Numa Pompilio. Se alcuni studiosi ritengono che egli sia effettivamente vissuto nell’VIII sec. a.C. e che sia stato un grande innovatore, portando alla nascita di alcune delle istituzioni e dei luoghi più simbolici di Roma, altri ritengono la sua più una figura simbolica, di un uomo a metà tra la morale e la santità, volto a riformare lo stato soprattutto da un punto di vista prettamente religioso, in netta contrapposizione con Romolo che era stato invece un grande capo guerriero.
Quest’ultima ipotesi potrebbe anche essere confermata dal significato stesso del suo nome (Numa da Nómos = “legge”; Pompilio da pompé = “abito sacerdotale”) che potrebbe stare appunto ad indicare l’idealizzazione della sua persona storica.
Fatto sta – e ne abbiamo già parlato (clicca qui) – che un re nell’VIII secolo c’è stato…o magari proprio due!
Anna Maria