Un bel giorno del 1750, un tal Marin Tourlonias, giunse a Roma dall’Alvernia (regione francese) per prendere servizio, in qualità di cameriere, dal cardinale Troiano Acquaviva d’Aragona. Svolse sicuramente bene il suo lavoro il povero figlio di un agricoltore, tant’è che il cardinale, alla sua morte, gli garantì una rendita. L’intraprendente Francese, allora, volle investire quel lascito e costituì una fiorente azienda di tessuti, con sede a Piazza di Spagna.
Ma la vendita di tessuti in realtà era solo di facciata….
Gli affari gli andarono proprio bene e con l’occupazione dei Francesi a Roma, il figlio con un nome tutto italiano, Giovanni Raimondo, si dilettò in fortunate speculazioni finanziare tali da incrementare notevolmente il già cospicuo patrimonio famigliare. Preso ormai il gusto di mercanteggiare più col denaro che con le stoffe, il primogenito di Marino, volle palesare quell’attività svolta già dal padre, parallelamente e più proficuamente a quella delle stoffe, e fondò il Banco Marino Torlonia, offrendo così alla nobiltà romana prestiti garantiti dalle loro proprietà immobiliari.
Ciononostante, i nobili romani, che tanto dovevano al loro banchiere, continuavano a guardare dall’alto del loro rango il giovane mercante arricchito, con ascendenze contadine.
E allora, Giovanni Raimondo Torlonia, accumulata un’enorme capacità finanziaria, conquistata la benevolenza del papa, volle a tutti i costi un titolo nobiliare e, potendo sostenere grandi costi, volle il più prestigioso: Pio VII lo elevò a titolo di principe creando per lui la casata di Civitella Cesi, borgo medievale del viterbese ancor oggi dominato dal castello dei Torlonia.
E un principe di siffatta ricchezza non poteva che avere un bel castello e alla moda: la tendenza di fine Settecento vide nascere infatti fastose residenze nella zona della Nomentana e Giovanni Raimondo acquistò una tenuta di 13 ettari dai Colonna, che solo pochi anni prima l’avevano comperata dai Pamphilj, e ristrutturò le costruzioni già esistenti conferendo ad esse un opulento stile neoclassico incaricando il più acclamato degli architetti di quell’epoca: Giuseppe Valadier.
Il passaggio di mano per successione al figlio Alessandro proseguì nell’abbellimento della tenuta. Ma l’epoca era ormai cambiata e ad interpretare le idee alquanto bizzarre del principe furono ben due artisti: Japelli e Caretti ovvero un paesaggista e un architetto.
Pennellata finale la dette il nipote di Alessandro: Giovanni jr mutò per sé il casino di caccia in stile medievale del nonno nella graziosa quanto fiabesca Casina delle Civette. Qui si ritirò a vita concedendo, per il simbolico prezzo di una lira l’anno, il resto della tenuta a Benito Mussolini e la sua famiglia.
Di soldi ne avevano talmente tanti i Torlonia che potevano concedersi bizzarrie non solo architettoniche!
Anna Maria Maggi
Visita guidata tematica: Le bizzarrie di un Principe a Villa Torlonia