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Conosciamo i Bonaparte: Luciano, il romantico ribelle

Il nostro viaggio nell’album di famiglia di Napoleone prosegue con la scoperta di una figura affascinante e dimenticata dai libri di storia, colui che determinò il vero successo politico del generale corso: suo fratello Luciano.

Sei anni separano Napoleone dal fratello minore, quello che lo storico Alessandro Barbero definisce “il fratello intelligente dei Bonaparte”.

Luciano nasce ad Ajaccio il 21 maggio del 1775, terzogenito di Carlo Maria Bonaparte e di Letizia Ramolino.

 

Come i fratelli maggiori, Giuseppe e Napoleone, studia in Francia, per poi tornare in Corsica alla morte prematura del padre, nel 1785. Qui ha modo di ammirare da vicino le imprese del celebre Babbu di a Patria, il politico e patriota Pasquale Paoli, che sempre aveva lottato per l’indipendenza della Corsica, riuscendo a cacciare i genovesi dall’isola e continuando a combattere anche i nuovi invasori, i Francesi, che volevano prendere la Corsica come possedimento personale di Luigi XV. Nonostante la sua famiglia si fosse schierata con i Francesi, Luciano rimane affascinato dalla figura di questo rivoluzionario, tanto da diventarne segretario particolare nel 1791.

 

Trasferitosi poi con la famiglia in Francia, Luciano segue le orme del suo mentore e si getta a capofitto nei moti rivoluzionari parigini, facendosi addirittura chiamare “Bruto Buonaparte”. Forse preso dall’entusiasmo della gioventù, crede fortemente nella rivoluzione, tanto da sostenere Maximilien Robespierre, fino alla sua fine sulla ghigliottina.

 

Appassionato di politica, Luciano intraprende il suo cursus honorum in una Francia ancora inquieta e alla ricerca di un equilibrio dopo la Rivoluzione e gli eventi tragici del Terrore.

 

Al governo ora siede il Direttorio, composto da cinque esponenti della borghesia, in genere scelti tra i cittadini più ricchi e influenti di Francia. Ad eleggerli, c’è il Consiglio degli Anziani, che può votare tra una lista di candidati sottoposta loro dal Consiglio dei 500.

Con sorprendente capacità, Luciano riesce a farsi eleggere nel Consiglio dei 500 prima ancora di aver raggiunto l’età minima prevista, sostenendo l’importanza della libertà di stampa. Da vero enfant prodige quale si dimostra essere, l’anno dopo la sua elezione (1799) è già Presidente del Consiglio dei 500.

 

Ed è da questa posizione che riuscirà a svolgere il ruolo chiave nell’ascesa al potere del fratello, grazie al Colpo di Stato del 18 brumaio.

Luciano crede negli ideali della Rivoluzione, ideali che il Direttorio dovrebbe incarnare. L’organo di governo, però, è estremamente corrotto, i Francesi sono stanchi, confusi, alla deriva, sono passati dieci anni dalla Presa della Bastiglia e la situazione è ancora instabile.

Luciano e Napoleone capiscono che c’è bisogno di un’azione drastica.

 

Così si muovono su due fronti, quelli che più sono congeniali ad entrambi: Napoleone quello militare, Luciano quello politico.

Come generale, Napoleone da tempo sta costruendo la sua leggenda: la presa di Tolone, la Campagna d’Italia, quella d’Egitto… tutte queste imprese hanno contribuito a consolidare il suo mito, tra i soldati è amatissimo, il suo esercito lo seguirebbe in capo al mondo.

 

L’aiuto di Luciano però è indispensabile: è lui che, da mesi, sta preparando il terreno al fratello. I giornali parlano solo di lui, anche il popolo lo ama. La moglie di Napoleone, Josephine de Beauharnais, viene addirittura soprannominata “Notre Dame des Victoires”, “Nostra Signora delle Vittorie”, proprio per le straordinarie imprese del marito nelle campagne estere che, anche quando si concludono in sconfitta, come quella d’Egitto, comunque emanano un forte senso di fascinazione e orgoglio nazionale.

 

Il momento è propizio: Luciano e Napoleone decidono di mettere in atto un Colpo di Stato che avverrà nella storica data del 18 brumaio, il 9 novembre del 1799 per noi.

Quel giorno, alle 8 del mattino, i soldati di Napoleone si radunano sotto casa del generale, che espone loro (esagerando anche un po’) la terribile situazione al collasso della Francia, da imputare alla corruzione del Direttorio e all’incapacità dei due Consigli di mantenere l’ordine.

 

Al grido unanime di “Viva Bonaparte! Viva la Repubblica!” Napoleone e i suoi soldati marciano verso il palazzo delle Tuileries, dove era riunito il Consiglio degli Anziani. Napoleone rivolge loro parole sprezzanti, li accusa di essere la vergogna e il male della Francia e, grazie anche alla presenza di infiltrati favorevoli al Colpo di Stato, riesce a mettere in scacco il Consiglio degli Anziani e a porre sotto il suo controllo militare i punti strategici di Parigi.

 

Ma le cose non filano lisce come da lui pensato. Il giorno dopo, nel palazzo di Saint Cloud, il Consiglio dei 500 oppone una strenua resistenza: Napoleone viene accusato di essere un traditore della Repubblica, di violare la Costituzione e di voler instaurare una dittatura militare.

Viene addirittura aggredito fisicamente da alcuni deputati, e dovrà essere scortato fuori dall’aula da due suoi generali di fiducia, Lefebvre e Murat.

 

Ma Napoleone ha un asso nella manica, che si rivelerà essere proprio la sua carta vincente: l’astuto Luciano è Presidente del Consiglio dei 500 e riprende in mano la situazione appena in tempo, ribaltandola a favore del fratello.

Il Consiglio dei 500 vuole votare un provvedimento per dichiarare Napoleone “fuori legge”, il che significa che chiunque è autorizzato ad ucciderlo senza subirne conseguenze. Luciano, con tempestività, scioglie la seduta del Consiglio prima che il provvedimento sia messo ai voti, abbandona l’aula e corre dal fratello e dai suoi soldati.

 

Con carisma e un’abilità oratoria sorprendente per i suoi soli 24 anni, Luciano incita i soldati a riportare l’ordine nel Consiglio dei 500, raccontando loro il “mito del pugnale”: Luciano rivela che diversi deputati avevano già pronto il pugnale con cui fare fuori Napoleone. Poi, ne estrae uno lui stesso e puntandolo contro il fratello, giura: “Non esiterei io stesso a pugnalare mio fratello, se attentasse alla libertà dei Francesi”.

 

Il discorso funziona, i soldati marciano nell’aula di Saint Cloud in cui è riunito il Consiglio e, imbracciate le baionette, fanno uscire i deputati uno per uno.

 

Su idea di Luciano, viene smantellato il Direttorio, e si forma una “commissione consolare esecutiva”, composta da tre consoli: i politici Sieyès e Ducos, e Napoleone, con lo stesso potere del Direttorio. Nasce così il consolato, i triumviri giurano sulla Costituzione e sugli ideali della Rivoluzione.

 

I due fratelli lavorano a stretto contatto: Luciano diviene Ministro degli Interni, ma tra lui e Napoleone i rapporti si fanno sempre più tesi. Luciano sente puzza di dittatura quando il fratello si fa nominare Primo Console, superando quindi in potere e influenza gli altri due e tenta una misura contenitiva: propone a Napoleone di rendere la carica di Primo Console elettiva e soprattutto a tempo determinato. Napoleone fa orecchie da mercante, e con un Plebiscito nel 1802 si fa eleggere Primo Console a vita.

 

Intanto a Napoleone cominciano ad arrivare voci di critiche da parte di Luciano e decide di allontanarlo: lo rimuove dall’incarico di Ministro e lo spedisce come ambasciatore in Spagna. Ma Luciano è troppo brillante e Napoleone vuole liberarsene.

Il pretesto sarà il nuovo matrimonio del fratello, con cui Napoleone non è d’accordo. Rimasto vedovo giovanissimo della moglie Christine di cui era profondamente innamorato, quattro anni dopo la morte della donna, nel 1804, Luciano scopre nuovamente l’amore tra le braccia della nobildonna Alexandrine de Bleschamp. Napoleone aveva altri piani per lui, ma Luciano è irremovibile: per Alexandrine rinuncia alla gloria e al potere.

Per questo, Napoleone lo costringe all’esilio e Luciano si trasferisce a Roma, sotto la protezione di Papa Pio VII, acerrimo rivale del fratello.

Stabilitosi a Canino, nel viterbese, sarà dal Papa nominato Principe di Canino, e qui trascorrerà il resto della sua esistenza, dando origine al ramo romano della famiglia Bonaparte, da cui discende il conte Giuseppe Primoli, fondatore del Museo Napoleonico.

A seguito dell’annessione di Roma alla Francia del 1809, Luciano sarà costretto praticamente agli arresti domiciliari e a dover chiedere il permesso al governatore militare francese per poter fare qualsiasi cosa. Rassegnato, tenta di fuggire negli Stati Uniti, ma sarà catturato dagli Inglesi e condotto in Inghilterra, dove godrà comunque di una maggiore libertà rispetto alla Roma napoleonica.

Luciano potrà tornare a Roma solo nel 1814, dopo l’esilio di Napoleone all’Isola d’Elba, e si riconcilierà col fratello maggiore durante i Cento giorni, il periodo in cui l’ex imperatore, evaso dall’Isola d’Elba, tenterà di tornare al potere, per poi essere sconfitto ed esiliato a Sant’Elena.

Luciano tornò invece a Canino, dove trascorrerà il resto della sua esistenza circondato dalla moglie, dai figli, da tutto ciò che aveva amato di più, godendo della natura e del paesaggio viterbese, come lo vediamo in questo ritratto esposto al Museo Napoleonico: è vestito di abiti scuri, neutri, borghesi. L’espressione è seria, le braccia incrociate e in mano stringe una copia della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Tutto lo qualifica come intellettuale, uomo di pensiero e appassionato studioso, in contrasto antieroico rispetto alle raffigurazioni del fratello maggiore, che lo vedono invece sempre a cavallo o sul campo di battaglia.

Ed è nella pace di Canino, che Luciano morirà poi il 29 giugno del 1840.

Il romantico fratello ribelle di Napoleone riposa ancora oggi accanto all’amatissima moglie Alexandrine, come ben si addice a un uomo che sempre antepose la vita privata a quella pubblica.

Giulia Faina

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