Intelligente, colta e anticonformista, Cristina di Svezia salì al trono bambina, ma a ventotto anni scelse di abdicare per vivere in libertà
Divenne regina a soli sei anni, per la prematura e inaspettata morte del padre, re Gustavo II Adolfo, che, nonostante sperasse in un figlio maschio, non fu deluso dalla nascita di quella bambina dal vagito potente e scelse di farla educare come un principe ereditario.
Vide lungo re Gustavo, perché Cristina non era e non sarebbe stata una donna come le altre: la “regina bambina”, come fu chiamata all’epoca, aveva una mente brillante e un grande interesse per lo studio e in pochi anni fu in grado di padroneggiare correttamente e correntemente ben sei lingue, tra cui l’italiano e il latino, e acquisì competenze nella strategia politica, storia, scienza, filosofia, musica e danza.
Nata nel pieno della Guerra dei Trent’anni che vedeva schierati uno contro l’altro Protestanti e Cattolici, fu lei a firmare la Pace di Vestfalia, in qualità di regina di una potenza luterana.
Intanto, con la disfatta della Battaglia di Praga, Cristina ottenne la collezione di Rodolfo II d’Asburgo che fu nutrimento della propria. Perché, infatti, oltre alla necessaria e decisa inclinazione politica, aveva un grandissimo interesse per le arti e gli studi. Fu lei a trasformare la corte di Svezia in un centro raffinato e colto, frequentato dai grandi intellettuali dell’epoca, intrattenendo rapporti con Cartesio e Blaise Pascal, fondando la prima università di Finlandia, la prima rivista – l’Ordinari Post Tijdender – e il primo teatro di corte. Insomma trasformò la sua corte e il suo Paese, tanto che la capitale svedese si guadagnò il titolo di “Atene del nord”.
Ma il popolo scandivano voleva altro, era poco interessato ad essere diventato lo specchio d’Europa. Voleva la discendenza: Cristina doveva sposarsi!
Davanti alle richieste dei dignitari, che la invitavano a cercarsi uno sposo tra qualche cugino, in modo da riportare un re sul trono, Cristina rispose che per lei il matrimonio generava una subordinazione alla quale non sopportava di sottostare e che mai avrebbe potuto far diventare il suo corpo l’orto di un uomo.
Soddisfò dunque l’esigenza del proprio Paese e dette un sovrano al suo popolo, ma non mettendo al mondo un erede. Abdicò. Re divenne suo cugino Carlo X Gustavo; lei, dopo essersi garantita una cospicua rendita fondiaria, lasciò la Svezia per vivere liberamente sé stessa.
Dovette però rinunciare all’amore: da anni intratteneva una relazione con Ebba Sparre, una dama di corte giudicata bellissima. Di quell’amore dovette accontentarsi solo della parte epistolare: «se voi non avete dimenticato la facoltà che avete su di me, vi ricorderete che sono già dodici anni che sono posseduta dall’essere amata da voi. Infine, io sono vostra in una maniera per cui è impossibile che voi mi possiate perdere, e non sarà altro che con la fine della vita che io cesserò di amarvi».
Girò per l’Europa; Fiandre e Austria i luoghi dove sostò più a lungo, ma Roma era il suo obiettivo. Fu per questo – e forse senza una vera convinzione – che si convertì al Cattolicesimo, unico modo per avere le porte aperte da Alessandro VII.
“FELICI FAVSTOQ(ue) INGRESSVI ANNO DOM MDCLV”, le parole di accoglienza del pontefice fatte incidere sulla Porta del Popolo dalla quale sarebbe entrata. Lo sfarzo di accoglienza fu grandissimo: Gian Lorenzo Bernini restaurò la Porta, appunto, la facciata della chiesa di Santa Maria del Popolo e disegnò per lei una lettiga ma, attenzione, Papa Chigi era ben consapevole della prepotenza della regina e del suo essere regina in ogni dove. E allora il giubilo dell’accoglienza fu volontariamente apposto sulla facciata interna della porta anziché, come sembrerebbe più logico, su quella esterna dove sarebbe stata visibile da chi entrava in città; in codice il papa comunicò alla sovrana che avrebbe tenuto le distanze dalla sua invadente e straripante personalità, con tutte le complicazioni diplomatiche connesse. Insomma, in parole povere, Papa Alessandro VII ribadì a Cristina: questa è casa mia e qui comando io!
Dapprima la regina abdicataria si insediò a Palazzo Farnese, che divenne presto un luogo di ritrovo culturale: fondò infatti un’accademia, l’Accademia Reale, con l’obbligo per i partecipanti di aderire alla musica, al teatro, alla letteratura e alle lingue. Tutti i venerdì l’ex sovrana apriva la residenza ai visitatori più abbienti e li intratteneva con discussioni intellettuali.
Poi, lasciata Roma per un periodo, tornando, scelse Palazzo Riario come residenza. Noi oggi lo chiamiamo Palazzo Corsini.
La sua presenza a Roma fu un vero turbamento. Seppur non bella, anzi, era però l’oggetto del desiderio degli uomini, suscitando la gelosia in tutte le donne, a riprova che non è la bellezza esteriore a rendere affascinante una persona.
Sfrontata, anticonformista, vestiva sempre da uomo, accavallava le gambe quando stava seduta e discorreva senza freni e remore di qualsiasi argomento e non disdegnò a farsi più che amico un uomo, per giunta pure cardinale!
L’amicizia con Decio Azzolino destò un tale scandalo che il papa stesso dovette intervenire per diradare le visite del prelato. Quale che fosse la natura del loro rapporto, i due rimasero legati per più di trent’anni e insieme gestirono le finanze e i progetti politici di Cristina e influenzarono l’esito di ben tre conclavi. Lei lo designò quale suo unico erede, ma ahimé, il cardinale la seguì nell’aldilà pochi mesi dopo e le sue collezioni artistiche – che includevano opere di Raffaello, Tiziano e Rubens – finirono disperse.
La regina fu anche corteggiata dalla corona francese. Il cardinale Mazzarino progettò per lei l’acquisizione della corona di Napoli, in modo che da questa posizione potesse fare da paciera tra Francia e Spagna.
Ma, svanita l’occasione che vide Napoli diventare austriaca (1707-1734), l’ambizione di tornare a regnare fu alimentata dalla morte del suo successore Carlo X che lasciò un bambino di appena cinque anni come erede. Cristina ricordò allora al suo popolo che se la dinastia del cugino si fosse estinta, la corona sarebbe dovuta tornare a lei; ma il Paese si dimostrò ostile alla sua conversione e Cristina dovette firmare un nuovo atto di rinuncia alla corona.
Anche il progetto della corona di Polonia sfumò rapidamente e Cristina dovette limitare le sue ambizioni alla propria corte d’intellettuali e ai suoi intrighi con il Vaticano.
Fu lei infatti a favorire nel 1667 l’elezione a papa di Clemente IX, che però visse soltanto due anni. Il successore, Clemente X, la ridimensionò, togliendole addirittura la pensione assegnatale dal suo predecessore e scoraggiò il suo interesse per il teatro: lei, infatti, aveva creato il primo teatro pubblico, quello di Tor di Nona.
La chiusura del teatro pubblico, però, non mise fine alle rappresentazioni, come sua Santità avrebbe voluto: avevano luogo nel suo teatro personale, dove si continuò a recitare e a indossare abiti scollati, a dispetto delle promulgazioni di Innocenzo XI.
Cristina era Cristina e non perse occasione di riaffermare che anche se non regnante era sempre Regina: quando per le feste di carnevale il pontefice proibì agli Ebrei di uscire per le strade, lei pubblicò un decreto in cui dichiarava che tutti gli Ebrei sarebbero stati posti sotto la sua protezione.
Insomma, per quanto abdicataria fu profondamente regina, affermando in ogni momento il suo essere donna, in un mondo maschilista dove le donne soccombevano
La sua rinuncia al trono ebbe proprio questo significato, come da lei stessa pronunciato: non voglio sottostare, non voglio scendere a compromessi. E quando a compromessi convenne fu per raggiungere l’obiettivo che si era prefissato.
Il 19 aprile 1689, dopo una breve malattia, si spense nel suo letto. La Chiesa le tributò un funerale solenne, e un onore che fino a quel momento aveva riservato soltanto a un’altra donna, Matilde di Canossa: la sepoltura nelle grotte Vaticane.
Ma Cristina è stata quel che è immortalato nella Sala delle Colonne di Palazzo Corsini, sua camera da letto:
“Sono nata libera, vissi libera e morirò liberata”
Anna Maria
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