Troppi onori, troppe cariche, troppe decisioni arbitrarie, troppi cittadini morti durante le guerre civili.
Questa la giustificazione alla congiura perpetrata contro Giulio Cesare, questa la giustificazione al più efferato dei delitti politici che ha cambiato per sempre la storia di Roma e la storia stessa.
Ma quanti furono i congiurati, solo ventitré?
Molti, molti di più!
È vero, quella mattina l’aula del Senato era semivuota – bisognerà attendere Nerone per combattere l’assenteismo e, a sua volta, la pagherà cara! – ma non tanto vuota. Non ci furono solo i materiali esecutori dell’omicidio: ci furono complici, collaboratori e assistenti silenti.
La verità è che quel crimine – perché questo è stato – fu premeditato, organizzato nei minimi dettagli, molto, ma molto tempo prima.
Il personaggio scomodo, colui che minava la libertà dei ricchi, ovvero i loro privilegi, per essere eliminato doveva avere l’avallo del popolo. Ma i congiurati non riuscirono in questo intento e anche altre intenzioni furono disattese.
Quanti furono dunque i congiurati?
Il primo entrò in azione di buon mattino: era Decimo Bruto che aveva il compito di assicurare che Giulio Cesare presenziasse la riunione in Senato.
Cesare aveva fatto brutti sogni, sua moglie aveva fatto brutti sogni ed era riuscita a convincere il marito a non recarsi in Senato quella mattina delle Idi di Marzo del 44 a.C. Ma Decimo Bruto, sollecitando il suo orgoglio, disse “Bisognava forse mandare qualcuno ad avvisare i senatori già riuniti, di andarsene a casa e di ritornare quando Calpurnia avrebbe fatto sogni migliori? E questo non avrebbe indispettito? E noi cosa risponderemo quando bolleranno questi comportamenti come tirannici?”.
Fu così che Giulio Cesare, con colui che riteneva suo amico, con colui che non destò alcun sospetto gironzolando di prima mattina nella casa di Cesare, si incamminò verso la sua fine.
Fermato in strada dal popolo che lo adorava, senza scorta perché aveva affidato la protezione della sua persona al Senato, affiancato da Decimo Bruto e dal fedele e possente Marco Antonio, non dette ascolto al suggerimento di Artemidoro di Damasco che gli consegnò un biglietto durante quella camminata, raccomandandosi affinché ne prendesse visione
Fedele e possente Marco Antonio, console e senatore, che fu fermato all’ingresso dell’aula da un amico, senatore anch’egli, congiurato anch’egli, che lo trattenne con futili discorsi.
Chi poteva immaginare? Giulio Cesare era giunto in Senato sano e salvo e si mischiava tra coloro che avevano giurato di proteggerlo.
E un brandello di senatori – ventitré – gli si fece subito intorno, mentre gli altri, circa quarantacinque rimasero in disparte a parlare tra loro e mentre il fedele amico era trattenuto fuori. C’era un segnale convenuto e fu dato da Cimbro Tillio che afferrò Giulio Cesare alle spalle e mentre questi si divincolava lamentandosi della quasi aggressione <<Ista quidem vis est! (Ma questa è violenza!)>>, ecco che venne sferrata la prima coltellata.
Giulio Cesare la sventò, da grande generale qual era, afferrò il braccio di Casca e lo trapassò con lo stilo, ma altre ventidue lame si avventarono su di lui e già la seconda gli fu fatale
La concitazione provocò che i senatori si ferissero anche l’un l’altro: stavano cambiando il corso della storia e lo sapevano.
Cesare non morì subito, ebbe la forza e la dignità di coprirsi il volto, per non dar soddisfazione ai suoi assassini di vedere il ghigno della morte.
Il suo corpo insanguinato cadde ai piedi della gigantesca statua di Pompeo, una volta amico, poi suo nemico, in quell’aula del teatro adibita a Senato, per il restauro in corso della Curia
Quell’aula oggi è ai margini dell’Area Sacra di Largo Argentina, zona abbandonata per secoli per volere di Augusto che lo designò qual locus sceleratus. Il punto ove cadde il corpo agonizzante di Cesare è segnato da un pino.
Quei senatori che pensavano di aver l’avallo del popolo gridarono trionfanti “Libertà”. Non ebbero l’avallo del popolo, no, ma il disprezzo dei cittadini che si sentivano abbandonati senza il loro Cesare.
Non fu libertà ma guerra civile, come aveva previsto Giulio Cesare, una guerra che durò ben 15 anni, che portò al disgregamento totale della Res Publica, quella che loro dicevano di voler salvare.
Nessuno di loro sopravvisse a quel crimine per più di tre anni e molti si uccisero per il peso di aver cambiato per sempre il corso della storia: la Res Publica s’era dissolta per lasciare il passo all’Impero.
Anna Maria