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Trilussa e la favola vecchia con morale moderna

Romano DOC, ma non trasteverino. Trilussa nasce il 26 ottobre del 1871, al quarto piano di un vecchio palazzo di via del Babuino 134, col nome di Carlo Alberto Camillo Salustri, secondogenito di Carlo, cameriere originario di Albano Laziale al servizio dei Marchesi del Cinque, e di Carlotta Poldi, una sarta bolognese.

 

La sua infanzia non sarà proprio felice: l’anno dopo la sua nascita, muore a soli 3 anni la sorella maggiore, Elisabetta, a causa della difterite, e due anni dopo anche il padre, Vincenzo.

La madre, Carlotta, rimasta sola con Carlo Alberto, si trasferisce prima in Via Ripetta, dove rimane per undici mesi, e poi in un palazzo di Piazza di Pietra 31, che all’epoca era proprietà del Marchese Ermenegildo del Cinque, padrino di Carlo Alberto. Lui e la madre andranno a vivere sul retro del palazzo, al quinto piano.

 

Carlo Alberto non ama la scuola. Nel 1877, Carlotta iscrive il figlio alle scuole municipali San Nicola, dove frequenta la prima e la seconda elementare e poi, nell’ottobre 1880, sostiene l’esame per essere ammesso al Collegio San Giuseppe de Merode, in via San Sebastianello 1, a Piazza di Spagna. Carlo Alberto, però, è costretto a ripetere il secondo anno perché durante l’esame sbaglia una semplice sottrazione. Il ragazzo non ama la scuola, tanto che è costretto a ripetere anche la terza.

Alla fine, dopo un travagliato percorso scolastico, riuscirà a prendere la licenza elementare solo nel 1885, a 14 anni. Dopodiché abbandona la scuola, nonostante le proteste della mamma.

 

Non ama la scuola, ma ha fame di sapere e si dedica alla formazione di una sua propria cultura, che sarà vastissima: dalla lettura degli autori contemporanei, alle favole antiche, fino ad interessarsi alla filosofia, alla religione e allo spiritismo.

 

Benché coltissimo, cercherà sempre di mascherare questo suo sapere per apparire più vicino possibile al popolo e riflettere i suoi caratteri, i suoi vizi, ma anche i suoi bisogni e le sue necessità, dandogli voce.

 

La fascinazione per la letteratura classica lo porta ad un nuovo, vecchio, genere: la favola.

 

Breve composizioni in prosa o in versi, con protagonisti principalmente gli animali e che si concludono con una morale, la prima favola che Trilussa scrive è La Cecala e la Formica, datata 29 novembre 1895.

 

Queste favole rimodernate vengono descritte così dal giornalista Diego de Miranda:

 

«Favole antiche colla morale nuova. Trilussa, da qualche tempo, non pubblica sonetti: non li pubblica perché li studia. Si direbbe che, acquistando la coscienza della sua maturità intellettuale, il giovane scrittore romanesco senta il dovere di dare la giusta misura di sé, di ciò che può, della originalità del suo concepimento. E osserva e tenta di fare diversamente da quanto ha fatto finora. E ha avuto un’idea, fra l’altro, arguta e geniale: quella di rifare le favole antiche di Esopo per metterci la morale corrente.»

 

Qui i personaggi tipici delle favole con cui siamo cresciuti, assumono una veste nuova: più mondana, maliziosa, cinica. Riflettono perfettamente l’Italia degli anni di Trilussa, nel bene e nel male, nelle sue contraddizioni e le sue genuinità, nel suo essere attaccata al passato con uho sguardo disincantato al futuro.

 

E leggiamo una di queste favole antiche con morale moderna, “La Cecala d’oggi” 

 

Una Cecala, che pijava er fresco
all’ombra der grispigno e de l’ortica,
pe’ da’ la cojonella a ‘ na Formica
cantò ‘sto ritornello romanesco:
— Fiore de pane,
io me la godo, canto e sto benone,
e invece tu fatichi come un cane.

— Eh! da qui ar bel vedé ce corre poco:
— rispose la Formica —
nun t’hai da crede mica
ch’er sole scotti sempre come er foco!
Amomenti verrà la tramontana:
commare, stacce attenta… —

Quanno venne l’inverno
la Formica se chiuse ne la tana;
ma, ner sentì che la Cecala amica
seguitava a cantà tutta contenta,
uscì fòra e je disse: — Ancora canti?
ancora nu’ la pianti?

— Io? — fece la Cecala — manco a dillo:
quer che facevo prima faccio adesso;
mó ciò l’amante: me mantiè quer Grillo
che ‘sto giugno me stava sempre appresso.
Che dichi? l’onestà? Quanto sei cicia!
M’aricordo mi’ nonna che diceva
Chi lavora cià appena una camicia,
e sai chi ce n’ha due? Chi se la leva.

Giulia Faina

Visita guidata tematica: Nei luoghi di Trilussa, quelli veri!

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