Il Natale è Natale, si sa, e intorno alla tavola imbandita di eccezioni se ne fanno molte.
Una delle tradizioni enogastronomiche italiane più radicate è quella romana che non si limita, come altre, solo al pranzo del 25, ma celebra con ricette tipiche anche il cenone della vigilia e il giorno di S. Stefano.
Semel in anno licet insanire e questo noi Romani non lo abbiamo dimenticato!
Vediamo cosa combiniamo i giorni della festa….
Il cenone della vigilia di Natale nella tradizione romana
Le tradizioni della Vigilia di Natale romana affondano le radici nella storia della gente più semplice, con pochi mezzi economici, ma tanta voglia di stare insieme agli affetti più cari.
“L’attesa del piacere è essa stessa il piacere”, diceva il drammaturgo tedesco Lessing. Ecco cos’è veramente la vigilia: l’attesa, tutta spesa alla preparazione del cenone del 24 dicembre, rigorosamente “di magro”, ovvero un giorno nel quale non si mangia carne nell’attesa dei festeggiamenti del Natale. Il rigore deriva dai Vangeli e da alcuni libri che dettavano regole su cosa mangiare in determinati giorni e le astinenze del 24 sono una forma di rispetto per la nascita del Messia.
Ma l’astinenza è stata tramutata nel tempo in un “niente carne”, vedendo via via i cibi leggeri e poveri cedere il passo all’arrivo del pesce, che forse povero era solo ai tempi di Gesù: oggi è alimento assai prezioso e molto costoso. La scelta del pesce a Roma proviene da un’antica tradizione, il “rito della spesa al cottio”, ovvero il mercato del pesce che dal XII secolo e fino ai primi dell’800 si è svolto al Portico D’Ottavia, nel ghetto ebraico (successivamente è stato trasferito prima in via delle Coppelle, a San Teodoro, e quindi ai Mercati Generali). Recarsi al mercato per il rito della spesa rientra, dunque, fra le tradizioni della Vigilia di Natale romana.
Fatta la spesa, l’impresa è imbandire la tavola con i cibi più gustosi. Non può mancare il baccalà, il pesce simbolo delle vigilie, in quanto povero e facilmente reperibile, e va cucinato sia in umido che fritto.
Segue poi la pasta e broccoli in brodo d’arzilla, una zuppa dal sapore ineguagliabile; gli spaghetti al tonno, anche se ormai sono sempre più frequenti gli spaghetti con le vongole veraci.
Assolutamente non è vigilia senza la frittura mista di calamari, moscardini e gamberi che, dato il suo inebriante profumo: uno “stuzzichino” strada facendo tra padella e tavola, accompagnato sfiziosamente da fettine di mela e verdure pastellate: zucchine, ai cavolfiori e i famosissimi carciofi romaneschi. Anzi, questi ultimi meglio gustarli alla giudia oppure alla romana, cotti cioè in padella, con mentuccia fresca e aglio, coprendo il tegame con la carta del pane.
E per contorno? Non vogliamo rinfrescarci la bocca con le meravigliose puntarelle? È la cicoria catalogna, sfilettata, arricciata nell’acqua fresca, scolata e tamponata e condita con sale, aglio, pepe bianco, aceto di vino bianco e acciughe dissalate. Buonissime!
Si conclude con frutta fresca e secca e dolci natalizi, tra cui il pangiallo, un impasto di frutta secca, miele e farina insaporito con lo zafferano che ha origini antichissime, risalenti addirittura alla Roma imperiale. Si usa prepararlo il giorno del solstizio d’inverno come buono auspicio per il ritorno delle lunghe giornate di sole, forma che ricorda un po’ questo dolce. È il pangiallo che ha dato origine al ben più noto panpepato, diffuso in tutto il centro Italia.
Il pranzo di Natale
La vera festa è il 25: fino ad ora abbiamo scherzato!
I festeggiamenti in questo giorno di gioia celebrano il piatto più ricco e prelibato, ovvero la carne e il menù romano è una vera e propria esplosione di profumi!
Si aprono le danze con un “leggero” brodo di gallina, per passare alle fettuccine rigorosamente fatte in casa, perciò spesse e porose, condite con il sugo di carne.
Sulla tavola romana non può mancare l’abbacchio: al forno con patate, in umido con i carciofi o le costolette panate e fritte. Chi non conosce l’espressione romanesca “so’ ‘a morte sua”? Ecco è riferito al povero abbacchio, che in tutto il resto d’Italia si chiama agnello. Dell’animale non si butta niente, ce l’hanno insegnato gli antichi Romani, che banchettavano dopo aver sacrificato l’animale agli dei. E così sulla tavola del Natale finisce anche la “coratella”, ovvero le interiora intere dell’agnello; ma attenzione, a Natale non è un piatto di portata, ma fa da pausa fra il primo e il secondo. Insomma, mentre digerisci magna!
Per i contorni, che dite, qualcosa è avanzato dalla sera prima? Quindi si replica e idem per i dolci: oltre al pangiallo, sono tipici anche i mostaccioli, il croccante alle mandorle, le nocchiate e nociate. No, no, non è la frutta secca che conclude il pasto, né un termine coniato al momento: le “nocchiate” sono delle deliziose palline croccantissime e golose realizzate con le nocciole, il miele e altri ingredienti. Le “nociate”, tipiche della Sabina, sono invece a base di miele e noci a formare una specie di torrone.
Il pranzo di Santo Stefano
Dopo le due impudenti abbuffate a tavola, il 26 dicembre si fa veramente fatica a mangiare qualcosa di sostanzioso.
Ma il romano ce la fa!
E per l’ultimo giorno di festività natalizia propone alcuni piatti che aiutano a pulire stomaco, palato e coscienza, si fa per dire!
Tipica della tradizione popolare è la stracciatella, e non è fresca né leggera come il gelato. È un succulento brodo di carne, vari tipi di carne, nel quale si cuociono delle uova sbattute condite con sale, pepe, parmigiano, noce moscata che, buttate nel brodo bollente, formano delle piccole frittatine. I Romani sanno bene di cosa si parla. Il brodo è anche arricchito di microscopiche polpettine di carne di maiale. Un piatto decisamente leggero per pulire stomaco, palato e coscienza!
Segue il “picchiapò”, un gustosissimo piatto di recupero che nasce dall’esigenza di insaporire la carne del brodo che invita alla “scarpetta” finale. Il nome picchiapò deriva dal fatto che la carne veniva tagliata e quasi “picchiata”, per poi finire rosolata in padella in abbondante olio con cipolla dorata, sfumata di vino bianco, e cotta nel pomodoro con l’aggiunta di patate…’na cosa leggerissima!
Tanti piatti, tante ricette, tanto cibo, ma se stai solo, che Natale è? A Roma, come ovunque, la parte più bella del Natale è la compagnia, quella che ci è mancata nel Natale 2020 e che abbiamo riconquistato con sacrificio e fiducia, soprattutto nella Scienza, in questo Natale 2021.
Non c’è cosa più bella e più sana che trascorrere il Natale, la festa più attesa dell’anno, intorno ad una bella tavola apparecchiata con cura, gustando buon cibo in compagnia degli affetti più cari, digerendo e ancora “spizziacando” tra un’allegra tombolata e un mercante in fiera, praticamente senza alzarci dalla tavola.
Si rifà capolino al mondo il 27 e ci si accorge che le giornate si sono improvvisamente allungate….il “Sol Fanciullo” lo chiamavano a Roma, noi lo chiamiamo Natale. E che ci porti la luce e tanta serenità!
Auguri!
Anna Maria
P.S.: invia la foto della tua tavola natalizia e la inseriremo in questo articolo!