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Il piacere: il romanzo con cui D’Annunzio indaga nell’animo umano

Danae, Gustav Klimt, 1907-1908, Galerie Würthle, Vienna

Che si ami o che si odi, non si può certamente negare a Gabriele D’annunzio l’immenso genio letterario, né il respiro più moderno ed europeo che portò nell’Italia a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. 

Il suo romanzo più celebre, Il Piacere, apre le porte al Decadentismo, corrente letteraria nata in Francia come reazione al fallimento del Positivismo, cioè la convinzione che la scienza sarebbe riuscita a spiegare i misteri della vita, superando quindi le superstizioni religiose, e favorendo una migliore convivenza fra gli uomini. 

Deluse queste aspettative, l’intellettuale si ritrova smarrito in una profonda crisi esistenziale, isolato da una società che non vede più l’individuo, ma solo la produttività, il capitale, mentre il mondo intorno viene sconvolto da guerre, rivoluzioni, scoperte sconvolgenti.

A questi cambiamenti, l’intellettuale risponde con una poesia che si rivolge all’inconscio, alla realtà interiore. 

Il Decadentismo viene raccolto e riproposto da D’Annunzio in un’espressione particolare, quella dell’estetismo, di cui lui, forse, incarna proprio l’esempio più assoluto.

L’estetismo è il culto estremo della bellezza, ricerca di eleganza e raffinatezza, godimento di tutte le gioie del vivere. 

“Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!”, scriveva Lorenzo il Magnifico, e l’Estetismo ne prende assoluto insegnamento: l’invito è a godere della giovinezza e della bellezza, continuamente minacciate dal pericolo della corruzione e del decadimento. 

Ma l’esteta vuole molto di più della semplice contemplazione di tutto ciò: vuole farne esperienza. Ed è così che l’artista vuole trasformare la sua stessa vita in opera d’arte. 

Andrea Sperelli, protagonista de Il Piacere è, appunto, un esteta.

Il giovane aristocratico vive seguendo l’ideale della vita come fosse un’opera d’arte e non a caso ha scelto come sua dimora uno dei palazzi più eccentrici di Roma: Palazzo Zuccari, il cosiddetto Palazzo dei Mostri, sulla sommità della scalinata di Trinità dei Monti. 

Nel romanzo, troviamo quello che potremmo definire il classico triangolo amoroso. 

Andrea è, infatti, diviso tra due donne, entrambe dotate di immenso fascino, ma completamente diverse l’una dall’altra. 

Da una parte abbiamo Elena Muti, sua ex amante, il cui ricordo è ancora una ferita dolorante nel cuore del nostro protagonista. Dopo di lei, Andrea si getterà in storie senza impegno, alla continua ricerca di una donna che gli ricordi l’amore perduto.

Dall’altra, abbiamo invece Maria Ferres. Moglie del ministro plenipotenziario del Guatemala, Andrea la incontra nella villa della cugina a Schifanoja, dove si sta riprendendo da una ferita causata da un duello. 

L’uomo rimane immediatamente colpito dalla spiritualità e dalla purezza dell’eterea Maria e soprattutto dalla sua voce, così simile a quella di Elena. 

Si decide quindi a conquistarla, ma Maria è virtuosa e non cederà facilmente. 

Il ritorno del marito di lei pone poi rapida fine al neonato sentimento tra i due, e Andrea torna a Roma.

Qui si rende conto che l’incontro con Maria lo ha cambiato: ora guarda con rifiuto alla sua precedente vita dissoluta.

Anche l’incontro con Elena, per quanto lo destabilizzi, non lo fa cedere: ormai è deciso a vincere il cuore dell’angelica Maria. 

Rientrata anche lei a Roma, Andrea riprende il suo corteggiamento, finché finalmente riesce a conquistare la donna, che alla fine si concede.

Consumato il rapporto, però, Andrea realizza di desiderare nuovamente Elena, la donna mai dimenticata, per cui la fiamma non si era mai realmente spenta.

Così, durante l’ultimo amplesso con la Ferres, nel momento di massimo piacere, Andrea si lascia sfuggire il nome di Elena, facendo fuggire con orrore Maria, la cui famiglia era nel frattempo caduta in rovina poiché suo marito era stato sorpreso a barare al gioco. 

Andrea si ritrova quindi solo, a partecipare con Elena ed altri amici alla messa all’asta dei beni dei Ferres e, fuggendo da questa compagnia, si ritrova nelle stanze di Maria, ormai vuote, preda di quello che definisce il “dissolvimento del suo cuore”.

Questa è, a grandi linee, la trama de Il Piacere.

A conferma che l’estetismo sia tutto tranne che un movimento superficiale, questo romanzo è intriso di significati più profondi e simbologie nascoste, a partire dal suo protagonista.

Andrea è un dandy: vive di arte e raffinatezza, costruisce la sua vita come fosse un’opera d’arte, è dotato di una straordinaria sensibilità, che lo espone però a una certa corruzione e degradazione morale.

Ma Andrea non è un personaggio “vuoto”. Nei suoi atteggiamenti dongiovanneschi c’è un motivo molto più profondo: la sofferenza per l’abbandono della madre, che ha preferito scappare col suo amante, lasciando il marito e, soprattutto, il figlio. 

Il padre di Andrea lo spinge a reprimere il suo dolore, in quanto indice di una personalità debole. Ed è così che Sperelli soffre in realtà due volte: la prima nel tentativo di soffocare quel dolore, la seconda proprio nella sua repressione. 

E’ un personaggio scisso: da una parte c’è lui nella sua vera essenza, dall’altra vi è ciò che lui vorrebbe essere, cioè come appare alla gente. 

Andrea vive nell’artificio, nella menzogna e questo atteggiamento sarà anche causa della sua rovina. Non solo: nonostante D’Annunzio metta molto di sé in questo personaggio, non è corretto dire che sia esattamente il suo alter-ego. Sperelli è ciò che D’Annunzio vorrebbe essere, ma l’autore è consapevole dei limiti del personaggio e non manca di criticarne le menzogne e i sotterfugi. 

Anche nelle donne da lui amate ritroviamo questo dualismo: Elena (il cui nome rimanda proprio alla Elena della mitologia, per la cui bellezza scoppiò una terribile guerra durata dieci anni, che provocò innumerevoli morti) è la tentazione, l’eros, l’istinto, ma anche la lascivia, l’attaccamento alle cose terrene. 

Maria (come la madre di Cristo, ma anche come la moglie di D’Annunzio, Maria Hardouin) è invece l’incarnazione – anche un po’ stereotipata – della donna salvatrice: è colta, spirituale, pura e delicata. Rappresenta la religione, la famiglia, ma non manca di una sua sensualità, che a volte si confonde con quella del personaggio di Elena: anche Maria sa essere sfuggente e passionale. 

E così, questo apparentemente semplice triangolo amoroso si svela per quel che realmente è: l’eterna lotta del bene contro il male, della virtù contro il peccato che si combatte dall’alba dei tempi nell’animo umano e i cui contorni e differenze, come appunto con Elena e Maria, spesso sono indistinguibili, si sovrappongono e lasciano in balia del dubbio, della crisi, di sentimenti che hanno portato l’uomo a indagare sempre di più nell’animo umano.

Quello di D’Annunzio e in generale quello del Decadentismo, è un uomo che sta cambiando: non a caso, da lì a pochissimo si aprirà la strada verso la psicanalisi.

Giulia Faina

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