Roma è la città che conserva un’antica tradizione che non è stata “abbattuta” neanche dalle diete più ferree: un Romano doc, infatti, non rinuncia alla Colazione di Pasqua.
È una colazione molto abbondante, con una tavola apparecchiata con posate, piatti e bicchieri rigorosamente allestiti su una tovaglia bianca che attende la benedizione del sacerdote e ricca di tante gustose portate dolci e salate, memoria di quell’atteso premio per il digiuno di Quaresima.
I piatti dolci prevedono varie torte e la mitica “pizza sbattuta”, gustosissima con le uova di cioccolato. Tra le portate salate invece, non possono mancare la frittata con i carciofi, le uova sode, le torte rustiche, la corallina che per tradizione si mangia insieme alla famosa pizza di Pasqua.
Ma la regina delle portate di questa tradizione è la coratella d’abbacchio (è l’agnello che solo a Roma si chiama così!) con i carciofi.
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Al di là della Pasqua, è fra i piatti romani più conosciuto e apprezzato, nato come piatto povero, preparato con gli scarti di animali di piccola taglia come l’agnello.
La sua storia è lunga e inizia nella vecchia Roma, nel mattatoio di Testaccio: è la storia del cosiddetto “quinto quarto”, la parte meno pregiata degli animali da macello, quello che restava dopo aver venduto i quattro quarti migliori a chi se li poteva permettere e con il quale spesso si pagavano i cosiddetti “vaccinari”, cioè i dipendenti del mattatoio, le cui mogli o madri riuscivano a creare quei piatti che sarebbero diventati i protagonisti della storia di Roma.
Qualcuno l’abbiamo già trattato: trippa, coda; altri sicuramente li tratteremo. Ma per la coratella dovevamo aspettare la Pasqua, per farla trionfare sulla tavola come nelle nostre menti e riempire così corpo e anima di sapore e tradizioni.
Innanzitutto, specifichiamo: la coratella non è solo il cuore, ma anche altre le interiora.
Polmoni, trachea, fegato, reni e milza, lo scarto cioè di macelleria, divennero il vessillo del quinto quarto e solo quando cominciarono ad essere cucinate nelle osterie di Roma e ad inondare con il loro profumo le strade, cominciarono a stuzzicare l’acquolina nelle bocche di quei “signori” che mai l’avrebbero acquistate ma che cominciarono ad apprezzare quel pasto gustoso e sostanzioso, tanto da farlo diventare piatto tipico dei migliori ristoranti capitolini.
È ovviamente uno dei miei “secondi” preferiti e, come sempre, vi do la mia ricetta.
Per cominciare, specifico: è piatto unico, quindi si mangia insieme, ma si cucina separatamente.
Per i carciofi: vanno eliminate le foglie più esterne, spuntati e torniti sul fondo, tagliati a spicchi e puliti internamente, eliminando eventuale “pelo”, e tenuti una mezz’ora a bagno in acqua acidulata con limone. Vanno cotti in una padella con olio e aglio (imbiondito e eliminato), rosolati a fuoco alto per qualche minuto, poi cucinati a fiamma bassa, sale a piacere, coperti dopo aver aggiunto un po’ d’acqua, per una decina di minuti.
Per la coratella: tutto va tagliato in piccoli pezzi, lavato accuratamente, scolato e asciugato; in una padella con abbondante olio, far dorare cipolla tagliata finemente, aggiungere la carne (prima le parti più dure, quali polmone e trachea per i primi 5 minuti, poi cuore e fegato), sfumare con il vino bianco e cuocere a fuoco medio e coperto per altri 5 minuti.
Ultimate le due cotture, si uniscono carne e carciofi e si fanno insaporire per qualche minuto, prima di gustare la coratella appena pronta!
E buon appetito!
Anna Maria