Negli anni 50 si diffuse il termine “maggiorata”, neologismo coniato dal regista Vittorio de Sica per identificare tutte quelle attrici dalle forme prorompenti e generose che primeggiavano nei film italiani e che presto si imposero come modello assoluto in tutto il mondo della sensualità italiana.
Tra le fila delle maggiorate troviamo attrici come Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Silvana Pampanini e Lucia Bosè, solo per citarne alcune.
Ma tra queste signore del cinema italiano ce n’è una che, tra tutte, si distingue per fascino ed eleganza: Silvana Mangano.
Silvana Mangano viene descritta come un mistero. È così che ne parla la sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico: “Non aveva la passione del cinema e della recitazione. […] A Silvana non importava niente, lo faceva solo per suo marito, e trascinata dall’enorme successo personale che aveva riscosso. […] Non ha mai condotto una vita normale: si è sposata giovanissima con un uomo che la idolatrava e l’ha viziata in modo assurdo. Non ha conosciuto la realtà, incapace com’era di prendere autonomamente persino un tram. […] Suscitava negli uomini furibonde
passioni. Ha avuto delle grandi amitiés amoureuses, che si mantenevano per quel che ne so su un piano di lettere, telefonate, visite di omaggio. Era in ogni caso una donna fascinosissima, misteriosa.“
Silvana nasce a Roma il 21 aprile del 1930: tre giorni dopo Edda, figlia di Benito Mussolini, sposerà Galeazzo Ciano. Anni dopo proprio nel ruolo di Edda Ciano ne “Il processo di Verona”, Silvana donerà al cinema una delle sue più intense performance.
Il primo contatto con le arti dello spettacolo è con la danza classica, grande amore e passione di Silvana, che però è costretta a interrompere a causa di problemi al cuore. A 16 anni vince il titolo di Miss Roma 46 e comincia a lavorare come mannequin – così erano chiamate allora le indossatrici – per numerosi atelier nel centro di Roma.
Silvana non si adagia sulla sua bellezza così prorompente, studia, studia tantissimo e durante le lezioni di recitazione conosce un giovane aspirante attore ciociaro di nome Marcello Mastroianni. Lei ha 16 anni, lui 22.
I due sono innamoratissimi, il primo grande amore per entrambi, purtroppo non destinato a durare, anche se Silvana, anni dopo, in un’intervista, dichiarerà di non aver mai dimenticato Marcello.
È, intanto, il 1948 e Giuseppe de Santis si prepara a girare il suo nuovo film “Riso amaro”, per cui sta cercando un’attrice da lanciare nel ruolo della mondina Silvana Meliga. Silvana si presenta ai provini tutta acconciata, imbellettata e truccata secondo la moda dell’epoca, uguale a tutte le altre concorrenti. Giuseppe de Santis racconta di averla trovata addirittura “orrenda” e di averla mandata via senza neanche guardarla, come aveva fatto con tutte le “altre copie” prima e dopo di lei.
Ma quando il destino ci si mette di mezzo c’è poco da fare.
Qualche giorno dopo, infatti, De Santis sta camminando per via Veneto.
È un giorno di pioggia e dall’altra parte della strada vede camminare una ragazza che è come un apparizione: l’abbigliamento semplice, i capelli spettinati dalla pioggia, il trucco leggero… È la ragazza che sta cercando. E quella ragazza è, ovviamente, Silvana Mangano, che si sta recando in uno degli atelier per cui lavora come indossatrice.
De Santis le propone un secondo provino, che questa volta è un grande successo.
A volere in particolar modo Silvana nel ruolo della mondina è il produttore del film, Dino de Laurentiis, che sostiene che questa ragazza sia tutto quello di cui hanno bisogno: bella, popolana, giovane e fresca.
Con i pantaloncini corti, la t-shirt nera e le calze alte alle cosce, Silvana è una visione: interpreta una donna giovane sensuale, libera dal controllo dei genitori poiché mandata a lavorare nelle risaie, sfruttata e sottopagata.
Riso amaro viene candidato all’Oscar e l’immagine di Silvana nei panni della mondina fa presto il giro del mondo e addirittura a New York una sua gigantografia lunga 5 piani viene appesa su un grattacielo: Silvana è la donna italiana, sensuale procace, dalle forme morbide e generose.
Lei odierà tutto questo.
“La ricordavo in Riso amaro, una specie di bomba sessuale. Mi disse che al solo pensiero di quel film provava uno schifo profondo. Aveva cominciato da poco una cura dimagrante. La sua bellezza mi sconvolse.” – Roberto Capucci
È sul set di Riso amaro che Silvana chiude la storia con il giovane Mastroianni per iniziarne una, molto meno romantica è più di interesse, dicono le malelingue, proprio con il produttore della pellicola, Dino de Laurentiis.
Dino è già sposato quando conosce Silvana e non prevede quella storia d’amore, ma appena un anno dopo i due sono marito e moglie.
Con Dino la carriera di Silvana subisce una fortunata deviazione: film d’autore, impegnati, come “Anna” di Alberto Lattuada, in cui troviamo anche una giovanissima Sofia Lazzaro, non ancora Loren, e in cui Silvana si esibisce nel famoso Mambo con cui verrà poi ancora ricordata in film come “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore o “Caro diario” di Nanni Moretti.
Sempre grazie a Dino approda alla commedia all’italiana, al fianco di Vittorio Gassman e Alberto Sordi, e finalmente smette di essere doppiata e può mostrare tutto il suo vero talento da attrice, e prende parte anche al kolossal “Ulisse” dove, nelle doppie vesti di Penelope e Circe, si presenta come una vera diva di Hollywood, sempre più lontana da quella bellezza popolana dei suoi esordi italiani.
Ma se Silvana riscuote così tanto successo e Dino crede così tanto in lei, al contrario è lei stessa a disamorarsi sempre di più del cinema e a sognare invece una vita molto più appartata, intima, privata, nella sola compagnia dei quattro figli, immersa nella natura della sua villa sull’Appia antica, dove ama dedicarsi al ricamo e alla lettura.
È questo lato di lei che farà innamorare registi come Luchino Visconti e Pier Paolo Pasolini che la rappresenteranno in chiave più idealizzata, materna e questi saranno i ruoli che lei preferirà. Addirittura Visconti la paragona all’amata madre, apice massimo del femminile per il regista.
All’apparenza Silvana è una donna che ha tutto: una carriera eccezionale, un marito che la ama sopra ogni cosa e che è uno dei produttori più importanti e ricchi al mondo e quattro figli, di cui il terzo, Federico, l’unico maschio, è il preferito. Eppure Silvana è preda di un malessere che non la abbandona e che peggiora quando Dino decide di lasciare l’Italia per trasferirsi in America, a Hollywood, città fatta apposta per il cinema, artefatta, fittizia, dove Silvana si sente un pesce fuor d’acqua. Al contrario, i figli amano quel clima così vivo e vivace, e soprattutto Federico si prepara a divenire l’erede del padre, che lo coinvolge sempre di più nei suoi progetti. E durante un sopralluogo sopra l’Alaska per girare lì un documentario, Federico, purtroppo, in un incidente aereo, perde la vita a soli 25 anni. Per tutti, quella è un’immensa tragedia, ma Silvana ha perso una parte di se stessa: una madre che sopravvive a un figlio è qualcosa di innaturale. Quella morte accelera anche la crisi coniugale tra lei e il marito che alla fine decideranno di separarsi definitivamente.
Silvana potrà quindi lasciare l’odiata Los Angeles per trasferirsi in Spagna dalla figlia Francesca, e qui purtroppo scoprirà di soffrire di tumore allo stomaco. Prima però un ultimo film, Oci ciornie, del regista russo Nikita Mikhalkov, accanto all’amatissimo e mai dimenticato Marcello Mastroianni. È proprio lui a convincerla a girare insieme quel film, inconsapevole della grave malattia di Silvana. L’età matura e la salute danneggiata, però, non scalfiscono la bellezza così algida e aristocratica di Silvana, e in Oci Ciornie pare proprio di assistere al primo incontro dopo tutti quegli anni dei due vecchi fidanzatini, con Marcello che ancora una volta è l’unico che riesce a far ridere la diva triste del cinema italiano.
Silvana si spegne poco dopo, a soli 59 anni, a causa di un infarto provocato da complicazioni post operatorie. È così che si chiude la vita di questa grande diva, che in realtà avrebbe preferito assai di più una vita anonima e appartata, ma felice.
“Era spuntata improvvisamente da una risaia del cinema italiano già così ricco di bellezze di ogni genere, e la sua presenza faceva parte dei momenti di sogno in cui la sessualità non è la sola a parlare. Ma lei non voleva questa gloria artificiale e soltanto a malincuore ritornava sullo schermo. Ogni volta, tuttavia, era indimenticabile come in Morte a Venezia. Muore a cinquantanove anni per un intervento ai polmoni, il che sembra ridicolo quando ci si ricorda della sua apparizione con una tee-shirt nera in Riso amaro. Per una volta la bellezza e l’intelligenza si mostravano insieme.” – Julien Gree
Giulia Faina
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