La Domenica delle Palme precede di una settimana la Pasqua, la cui data coincide con la prima domenica dopo il plenilunio successivo all’equinozio di primavera.
Celebrata dai cattolici, dagli ortodossi e dai protestanti, cade durante la Quaresima ed ha fine con la celebrazione dell’ora nona del giovedì santo, giorno in cui, con la messa vespertina, si dà inizio al sacro triduo pasquale.
La Quaresima, è bene ricordarlo, commemora i quaranta giorni vissuti da Gesù nel deserto; quei quaranta giorni, però, non precedevano l’ingresso a Gerusalemme: Gesù li trascorse dopo il suo Battesimo nel Giordano e prima dell’inizio del suo ministero pubblico.
La Domenica delle Palme, dunque, ricorda l’ingresso trionfale di Gesù in groppa ad un’asina in Gerusalemme. Nei Vangeli si narra che Cristo fu accolto da una folla festante che agitava rami di palma e stendeva a terra i mantelli, acclamandolo come Messia.
Effettivamente Gesù entrò in Gerusalemme, ma la città era gremita di fedeli che erano arrivati in massa per la celebrazione della festività ebraica di Sukkot, la “festa delle Capanne”; la celebrazione prevedeva il pellegrinaggio a Gerusalemme e la salita al tempio in processione. Ciascuno, durante la processione doveva sventolare, come dettato dalla Torah, quattro specie di vegetali: il lulav, il ramo giovane di palma, simbolo della fede; tre rami di mirto, simbolo della preghiera che s’innalza verso il cielo, e due rami di salice, la cui forma delle foglie rimanda alla bocca chiusa dei fedeli, in silenzio di fronte a Dio. Queste tre specie erano legate assieme con un filo di erba, la Cannabis sativa. Separatamente veniva impugnato l’etrog, il cedro, simbolo del buon frutto che Israele unito rappresentava per il mondo.
Il cammino era ritmato dalle invocazioni di salvezza (Osanna, in ebraico Hoshana), perché la festa di Sukkot ricordava che dopo il passaggio del Mar Rosso, il popolo per quarant’anni era vissuto nelle capanne.
Secondo la tradizione, l’atteso Messia sarebbe giunto proprio durante questa festa.
Gesù, non dimentichiamolo, era ebreo e dopo aver compiuto il miracolo della resurrezione di Lazzaro tornò a casa per celebrare la festa.
Il racconto dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme è presente in tutti e quattro i Vangeli canonici, ma con alcune varianti. Ecco qui sotto gli stralci del racconto:
Mc 11,1-7
Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai salito. Scioglietelo e conducetelo. E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo sciolsero. E alcuni dei presenti però dissero loro: «Che cosa fate, sciogliendo questo asinello?». Ed essi risposero come aveva detto loro il Signore. E li lasciarono fare. Essi condussero l’asinello da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli, ed egli vi montò sopra.
Mt 21,1-7
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un’asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me. Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito». Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma». I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.
Lc 19,29-35
Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui. E se qualcuno vi chiederà: Perché lo sciogliete?, direte così: Il Signore ne ha bisogno». Gli inviati andarono e trovarono tutto come aveva detto. Mentre scioglievano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché sciogliete il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù.
Gesù, quindi, fece il suo ingresso a Gerusalemme, sede del potere civile e religioso della Palestina, acclamato come si faceva solo con i re però a cavalcioni di un’asina, in segno di umiltà e mitezza. La cavalcatura dei re, solitamente guerrieri, era infatti il cavallo.
Ma il racconto è ricco di simbologia.
L’asino è simbolo della cavalcatura in tempo di pace, mentre il cavallo traina i carri in battaglia. Anche Salomone venne fatto salire sulla mula del re David al momento della sua incoronazione, mentre il suo rivale Adonia si era procurato inutilmente carro e cavalli. I testi, dunque, descrivono una scena d’incoronazione da parte dei pellegrini che dalla Galilea si recavano a Gerusalemme, perché conoscevano i miracoli fatti da Gesù.
Anche i mantelli sono un simbolo di incoronazione: venivano stesi sui gradini da salire per ascendere al trono.
I testi evangelici descrivono poi il formarsi di un corteo diretto al tempio, con i rami di palma simbolo della festa delle capanne, una delle tre grandi celebrazioni giudaiche con il pellegrinaggio. Il corteo, però, descritto come dedicato a Gesù, può essere interpretato come ringraziamento per le guarigioni miracolose operate dal Cristo in Galilea e infine a Betania dove Lazzaro era stato fatto uscire dal sepolcro.
Della festività delle Palme si ha notizia a partire dal VII secolo, data dalla quale ha inizio la benedizione dei rami, in concomitanza con la crescente importanza data alla processione.
Secondo i registri, nell’VIII secolo la liturgia della Domenica delle Palme (o della Passione) era piuttosto elaborata. La gente portava le palme in una prima chiesa in cui aveva inizio la liturgia, si recava in processione fino a una seconda chiesa nella quale avveniva la benedizione delle palme e poi tornava alla prima, dove tre diaconi leggevano (in realtà cantavano) la Passione.
Per conformità all’antico rito, l’attuale liturgia prevede che i fedeli, a cui vengono distribuiti rametti di ulivo e di palma, si radunino in un punto esterno alla chiesa che verrà poi raggiunta in processione. La liturgia si articola in diverse parti, raccontando l’Ultima Cena, l’arresto di Gesù, il processo giudaico, il processo romano, la condanna, l’esecuzione, morte e sepoltura. Una volta terminata la Messa, i rametti benedetti vengono portati a casa dai fedeli, conservati come simbolo di pace fino al Mercoledì delle Ceneri, giorno in cui vengono bruciati.
È usanza benedire la tavola imbandita nel giorno di Pasqua con il rametto di ulivo intinto nell’acqua benedetta.
Fino a qualche decennio fa, nell’Italia contadina, era tradizione bruciare un rametto d’ulivo benedetto quando si avvicinava un temporale. Questo avveniva all’aperto affinché il fumo che saliva al cielo ricordasse a Dio che si era in pace con lui e che perciò li proteggesse dalla grandine.
L’utilizzo dei rami di ulivo è stato introdotto nella tradizione popolare per la scarsità di piante di palma in Italia sostituite quindi dall’ulivo, anch’esso simbolo di pace.
Nei 50 paesi italiani di origini albanese, la sera del sabato prima della Domenica delle Palme, era tradizione ricordare il miracolo fatto da Gesù, resuscitando Lazzaro che era morto da quattro giorni: gruppi di giovani si recavano di casa in casa per cantare l’inno popolare di augurio, la “Kalimera di Lazzaro”, che ricordava che la resurrezione era stata promessa a tutti gli uomini.
Il documento più antico che riguarda le celebrazioni della Domenica delle Palme risale al IV secolo ed è il famoso Itinerarium Egeriae (Diario di Viaggio di Egeria), noto anche come Peregrinatio at Loca Sancta (Pellegrinaggio ai Luoghi Santi). Consiste essenzialmente in una lunga lettera indirizzata ad un circolo di donne “a casa”.
Sull’identità di Egeria si è ampiamente discusso. Certo è che Egeria sia stata in grado di affrontare un viaggio tanto lungo e costoso e che sapesse scrivere in modo elegante, rivelando una vasta conoscenza. I suoi scritti descrivono i viaggi che ha compiuto in Terra Santa, cominciando dal Monte Sinai per finire a Costantinopoli, con un soggiorno di tre anni a Gerusalemme.
Fu proprio a Gerusalemme che Egeria vide le prime celebrazioni della Domenica delle Palme. Ecco il suo racconto:
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E quando si avvicina l’ora nona, si recano cantando inni all’Imbomon, ovvero il luogo da cui il Signore è asceso al cielo, e si siedono lì, perché tutti si devono sempre sedere quando il vescovo è presente; solo i diaconi restano in piedi. Vengono recitati inni e antifone adatti al giorno e al luogo, intervallati da lezioni e preghiere. Quando si avvicina l’undicesima ora viene letto il passo del Vangelo e i bambini, portando rami e palme, vanno incontro al Signore dicendo: ‘Benedetto Colui che viene nel nome del Signore’. Il vescovo si alza immediatamente, e tutta la gente con lui, e si scende a piedi dalla cima del Monte degli Ulivi. Tutti vanno davanti a lui recitando inni e antifone, rispondendo: ‘Benedetto Colui che viene nel nome del Signore’. E tutti i bambini del quartiere, anche quelli troppo piccoli per camminare, vengono portati dai genitori sulle spalle, e tutti tengono in mano dei rami, alcuni di palma e altri di ulivo, e così il vescovo viene scortato allo stesso modo in cui lo è stato il Signore”.>>
Anna Maria