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La tradizione culinaria giudaico romanesca

Se immaginiamo il Ghetto, ovvero il Rione Sant’Angelo, come una città nella città, il Portico d’Ottavia costituisce il corso principale, il fulcro del rione.

Una via antica che ci restituisce i resti di un antico tempio trasformato da Augusto e dedicato a sua sorella Ottavia in complesso monumentale, sede di due biblioteche.

E’ una grande isola pedonale su cui si affacciano tanti esercizi commerciali, soprattutto a carattere alimentare.

Ormai, è parte del grand tour romano passeggiare per il Ghetto e soprattutto entrare in uno dei tanti ristoranti e assaporare gusti che sono rimasti unici, da secoli.

Ma qual è l’origine delle ricette tipiche della tradizione culinaria giudaico romanesca?

Va innanzitutto ricordato che la nutrizione ebraica si fonda su un importante precetto biblico “non cucinerai l’agnello nel latte della madre”. Da qui il non veder mai associati nei piatti ebraici la carne con i formaggi. Ma la nutrizione allarga il suo concetto anche agli animali scelti, alla macellazione e alle parti dell’animale da portare in tavola.

Ma questo è il fondamento della alimentazione, non della tradizione culinaria, perché quel che si mangia a Roma, nei ristoranti del Ghetto, è qualcosa di ben diverso dalle ricette ebraiche in sé.

Ebbene sì, tutto deriva dalla nascita di questo luogo, l’umiliante recinzione coatta della Giudecca, il luogo in cui un migliaio di Ebrei si erano spontaneamente acquartierati per mantenere e condividere le loro tradizioni.

Con la nascita del Ghetto, voluta da Papa Paolo IV nel 1555, gli Ebrei erano costretti a rimanervi dal tramonto all’alba, ma “uscire” da quelle mura non era di certo godersi la libertà. E così per sopravvivere in quello spazio limitato e malsano ci si doveva inventare piatti con quello che si riusciva a rimediare.

Da qui quella serie di ricette genuine e semplici che sono state tramandate nel tempo e che oggi gustiamo ancora con molto piacere.

Cosa c’è di più povero e facilmente reperibile se non gli scarti?

Ed ecco allora il gustoso piatto fatto di frattaglie: cervello, animelle, trippa, milza, fegato, cuore, polmone che prima di essere cucinate venivano arrostite un po’ per eliminare il sangue e ancora le famose “coppiette” cioè carne condita con sale e pepe e fatta seccare al sole o la saporita carne secca, essiccata con sale e pepe e poi affettata finemente.

Il principe dei piatti di pesce è il “brodetto” e la sua origine non ha affatto sapore di nobiltà. Il Ghetto è vicino al Tevere e laddove sono i resti del Portico d’Ottavia, nel Medioevo era sorto il mercato del pesce. Tutti gli scarti venivano messi nei pressi della chiesa di Sant’Angelo in Pescheria e le donne, essendo molto povere, andavano a selezionare teste, lische e parti di pesce e le cucinavano con l’acqua dando vita ad quel brodo molto saporito e oggi molto famoso.

E poi la tradizione vanta anche la paternità della gustosissima scarola con alici e il carciofo alla giudia tagliato come una rosa e fritto in olio, due volte.

Tra i negozietti che si affacciano su Via del Portico d’Ottavia ci sono i forni dove si possono acquistare i dolci della tradizione giudaico romanesca, perlopiù a base di frutta secca, miele e canditi. Il tortolicchio e la pizza ebraica ancora oggi tra i dolci più amati del rione.

Una città nella città, con antiche tradizioni, tramandate e adattate, e tanto amate.

Anna Maria

Visita guidata tematica: Segreti e misteri del Ghetto ebraico

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