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La tradizione perduta del Carnevale romano

Nella tradizione cattolica, il Carnevale indica il periodo che precede i quaranta giorni di Quaresima, periodo di pentimento e preghiera per prepararsi spiritualmente alla ricorrenza più importante dell’anno: la Pasqua. Ma se la Quaresima porta giorni di riflessione e purificazione, i giorni che la precedono sono l’esatto opposto: gioia, divertimento, feste e mascherate! Fino al martedì, ovviamente, giorno che precede il Mercoledì delle Ceneri, con cui ha inizio proprio la Quaresima. Questo martedì è dunque l’ultimo giorno in cui è concesso mangiare i cibi più gustosi e zuccherini – le cosiddette “schifezze” – considerate cibi “grassi” perché contenenti un alto tasso di zuccheri. Ma anche la carne, considerata un cibo ricco! Da qui, appunto, il nome di “martedì grasso”. A Roma, il Carnevale era uno degli eventi più attesi dell’anno! Sebbene questa tradizione sia scomparsa, il Carnevale Romano rimane ancora nella storia folkloristica della nostra città: corse, tornei, giochi, festeggiamenti in piazza e in maschera, che duravano per ben undici giorni, interrompendosi solo il venerdì e la domenica. I luoghi del Carnevale Romano erano molti: piazza Navona, Monte Testaccio, Piazza del Popolo e Piazza Venezia, dove la vicina Via Lata, proprio in onore delle corse lì organizzate per il Carnevale, prese il nome di “Via del Corso”. Tra le molte tradizioni, la più apprezzata dai Romani era quella che concedeva loro una buona dose di libertà anche in materia di ordine pubblico. Le forze dell’ordine, infatti, in quei giorni erano leggermente più flessibili e tolleranti. Ma senza esagerare! Non era raro, purtroppo, che i boia dovessero fare gli straordinari proprio nei giorni del Carnevale. Questi festeggiamenti, tra corse, feste in maschera, e giochi, terminavano poi con il Martedì Grasso, durante il quale avveniva la celebre Corsa dei Moccoletti, bizzarra competizione in cui si correva con in mano dei lumi o delle candele, tentando, intanto, di spegnere le fiamme degli altri partecipanti. Insomma, un evento davvero da non perdere! Ma come mai, invece, il suo ricordo si è perso nei meandri della storia? Innanzitutto, a causa della sua fine triste: nel 1874, durante uno degli eventi più attesi del Carnevale Romano, la “Corsa dei Barberi”, cioè dei cavalli berberi senza fantino a Piazza del Popolo, un giovane fu investito e calpestato dai cavalli in corsa, morendo di fronte agli occhi degli spettatori. Tra questi vi era re Vittorio Emanuele II che, dopo quel triste incidente, decise di vietare la corsa. Da questo divieto, purtroppo, il Carnevale Romano andò via via scomparendo. E per quanto riguarda le maschere? Non solo Venezia, anche a Roma le maschere avevano un ruolo fondamentale. Oltre alle classiche maschere della Commedia dell’Arte, ne troviamo anche alcune squisitamente romane: Rugantino – la più popolare -, ma anche Meo Patacca o il Generale Mannaggia la Rocca, militare spaccone e buffonesco. Il Carnevale Romano raggiunse ben presto una grande fama, fino a superare quello di Venezia! Ne parlarono scrittori come Goethe, Montaigne e Alexandre Dumas ne “Il Conte di Montecristo”. Purtroppo, dopo il triste incidente di Piazza del Popolo, il Carnevale Romano scomparve. Di questa triste fine, Trilussa scrisse:

Leva er tarappattà, leva la gente,
leva le corze… la bardoria è morta,
er carnovale s’ariduce a gnente.

Dicheno bene assai li mi’ padroni:
de tutt’er carnovale de ‘na vorta
che ciarimane mò? ‘N par de… vejoni.

Giulia Faina

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