Prisca era una giovinetta che viveva a casa dei coniugi Aquila e Priscilla, alle pendici del Colle Aventino.
Quando l’editto di Claudio, con la cacciata degli Ebrei da Roma, costrinse i coniugi ad andar via, la giovinetta volle rimanervi e, come prescritto dall’editto emanato dall’imperatore, fu arrestata, processata e condannata a morte.
Prisca non era un’ebrea, bensì una cristiana battezzata dall’apostolo Pietro che ricavò la fonte battesimale in un capitello romano.
Secondo la leggenda aurea, Prisca fu data in pasto ai leoni, ma le belve si inchinarono a lei.
Poiché la condanna c’era stata, la giovinetta subì il martirio della decapitazione.
Secoli dopo il suo corpo fu ritrovato e traslato in quella che era stata la sua casa, trasformata in domus ecclesia.
Questa storia è narrata negli affreschi del presbiterio della chiesa di Santa Prisca all’Aventino: il martirio a sinistra e il trasporto delle reliquie a destra sono opera del pittore fiorentino Anastasio Fontebuoni, mentre la pala d’altare con i battesimo di Santa Prisca è del Passignano e risalgono al 1600.
Ma è tra le righe della leggenda aurea che dobbiamo leggere la verità storica.
Innanzitutto, i coniugi Aquila e Priscilla – poi beatificati e ai quali fu esteso il titolo della chiesa nel IX secolo – tornarono a Roma sotto l’Impero di Nerone: questo ci fa capire come “il folle incendiario” non fosse poi così intollerante verso i Cristiani, anzi!
La loro casa, secondo la tradizione, venne riadattata a titulus, ovvero a luogo di culto cristiano, nel 57 dai medesimi che erano dei fabbricanti di tende; presso di loro la presenza di una comunità cristiana è attestata nella Lettera ai Romani di San Paolo.
Tuttavia, i primi documenti relativi al titulus risalgono solo al V secolo (quando fu registrato negli atti del sinodo del 499), costituendo, in ogni caso, il più antico culto cristiano dell’Aventino.
Ma la narrazione ci dice anche che, se vero è che la giovane Prisca fu martirizzata (durante l’impero di Claudio, evidentemente!), il suo supplizio fu la decapitazione.
Non sarebbe potuto essere altrimenti, infatti. Una legge molto antica privilegiava i cittadini romani anche nella morte, ai quali era riservata la “morte nobile” – la decapitazione, appunto – anche se malfattori.
Testimone del battesimo di Santa Prisca ricevuto dalle mani di San Pietro dovrebbe essere il capitello posto in una cappellina a destra dell’entrata, ma è ormai certo – gli studi archeologici sull’appartenenza di stile ce lo dicono chiaramente – che quel capitello risale all’età antonina (II secolo).
Il de relato arricchito da fantasia fa da padrone nelle storie di santi e martiri, ma certo è che quel capitello è un reperto veramente eccezionale, custodito sì in una cappella, ma purtroppo sormontato da un gruppo scultoreo, un’opera bronzea novecentesca, che è una vera nota stonata.
La chiesa, di impianto basilicale a tre navate, è molto stratificata; ma spigolando qua e là si possono ammirare le tracce di tutti i suoi passaggi millenari: dal piazzale, sede delle antiche campate, alla facciata manierista, dalle colonne di granito grigio di riuso romano all’organo a canne del secondo Novecento.
Ma è nella parte inferiore che c’è il gioiello dei gioielli: un mitreo scoperto nel 1934 risalente alla fine del II secolo, prova di un’interessante compresenza dei due culti orientali monoteisti, cristiano e mitraico.
Insomma, sorprese incredibili nella chiesa di Santa Prisca all’Aventino, ma d’altra parte, tutto il Colle è un’incredibile scoperta!
Anna Maria
Visita guidata tematica: Romantico Aventino