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Storia vera di una Geisha

Eleganti e misteriose, eteree e inafferrabili, le geisha sono il simbolo del Giappone tanto quanto il sushi e i fiori di ciliegio.

Per secoli, nulla si è saputo di loro e del Karyukai, il segretissimo “mondo dei salici e dei fiori” in cui si muovono quasi fluttuando queste figure semi-mitologiche.

Scopriamo insieme la verità che si cela sotto il trucco pesante e i ricchi kimono!

 

Partiamo da qui: chi sono le geisha? O geiko, secondo il dialetto di Kyoto.

Le prime geisha compaiono nelle feste del 1600 circa, ma non sono esattamente come ce le immagineremmo: le prime geisha, infatti, non sono donne, bensì uomini! Erano chiamati, Taikomochi (“portatori di tamburo”) ed erano l’anima della festa:  l’equivalente del nostro buffone medievale.

 

Dobbiamo aspettare il 1751 per vedere per la prima volta, nello stupore generale, una portatrice di tamburo donna, che viene chiamata geiko, cioè artista, termine ancora oggi in uso a Kyoto per definire una geisha.

Pochi anni dopo le donne portatrici di tamburo sono sempre più numerose e a fine ‘700 superano gli uomini che svolgono lo stesso mestiere: il termine geiko assume un significato esclusivamente femminile.

Ma non fatevi confondere dai pregiudizi! Le geisha non sono prostitute, anzi: a loro era persino vietato prostituirsi, per non fare concorrenza alle yujo, le sex worker vere e proprie. La geisha, semplicemente, canta melodie popolari o danzava elegante con i ventagli.

 

Sono le star delle serate più mondane, gli artisti le dipingono, gli uomini impazziscono per loro, tanto da spendere una fortuna per passare del tempo in loro compagnia. Nei quartieri di piacere, chiamati Hanamachi, cioè “Distretto dei fiori”, circola tantissimo alcool e tantissimo denaro, ma non si parla esplicitamente di soldi! La moneta, negli Hanamachi, è chiamata “fiori”.

 

Ma non è tutto oro quel che luccica.

Dietro la bellezza dei kimono e i movimenti lenti e sinuosi, si nasconde un mondo di soprusi e infanzia negata: spesso le bambine che finivano nelle okiya, le case delle geisha, erano vendute dalle loro famiglie povere, e solo le più belle, talentuose e determinate riuscivano a percorrere fino alla fine la strada per diventare prima maiko e poi geisha.

Tutte le altre diventavano sguattere o venivano di nuovo vendute, ma questa volta ai bordelli.

 

Durante i primi mesi nella okiya, le ragazzine venivano addestrate severamente tutti i giorni alla danza, ai vari strumenti musicali e a tutte le altre arti necessarie a una maiko.

 

Le più talentuose potevano intraprendere la carriera della maiko, cioè l’apprendista geisha, indossare i kimono sgargianti, profondersi in risatine infantili, indossare accessori e acconciature vistose.

A 20-21 anni arrivava la cerimonia del Erikae, il cambio del colletto: dal rosso delle maiko a quello bianco delle geisha. Il trucco si fa più leggero e i kimono molto meno colorati ma più raffinati.

Il tariffario una volta diventata geisha triplica, ma non c’è pace, ancora: tutti i  guadagni servono per ripagare il debito nei confronti dell’okiya. Un debito che sembra non sanarsi mai.

 

Le giovani erano infatti in debito nel momento in cui mettevano piede per la prima volta nell’okiya e lo restavano spesso per tutta la vita: per il cibo che mangiavano, per le ore di lezione di danza e musica, per le acconciature dal parrucchiere, i truccatori e soprattutto per i meravigliosi e costosissimi kimono da indossare a ogni festa, per le mance da dare ai portantini di risciò.

Fino al giorno in cui non poteva ripagare tutto – e troppe volte quel giorno non arrivava mai – la ragazza stessa era di proprietà della casa.

 

Per questo la loro vita diventava più facile con un danna, un cliente-marito che si occupava di tutte le spese della geisha. I due erano legati da un contratto vero e proprio in cui il danna si impegnava a risanare il debito della geisha e a pagare per tutte le sue spese.

In cambio, la geisha sarebbe stata sempre disponibile con lui, rinunciando ad altri clienti quando lui lo avesse richiesto (ma se lui non c’era, poteva averne altri). Era una sorta di mecenate.

 

 

 

Ma come siamo riusciti a penetrare nel segretissimo mondo dei salici e dei fiorii? Grazie ad una geisha moderna, la più famosa di tutte: Iwasaki Mineko.

Mineko entra in una casa da tè di Gion quando ha appena 4 anni. Bambina molto dotata, Mineko diventa maiko, cioè ufficialmente un’apprendista geisha all’età di 15 anni.

A 16 anni è la maiko più famosa del Giappone. A 21 esegue la cerimonia del Erikae, il cambio del colletto sul kimono. Ed è con questa cerimonia che diventa a tutti gli effetti una geisha.

 

Nel 1980, all’età di soli 29 anni, Iwasaki decide di ritirarsi, all’apice della sua carriera, dopo essersi esibita anche per la regina Elisabetta II! Sperache il suo ritiro faccia scalpore, e possa quindi scuotere Gion verso nuove riforme, soprattutto sull’istruzione delle giovani maiko. è convinta che il karyukai, il mondo dei fiori e dei salici, deperirà se non saprà adattarsi ai cambiamenti sociali.

Purtroppo non otterrà l’effetto sperato, anzi: moltissime altre geiko si ritirano dopo di lei, e Mineko penserà sempre di essere stata una delle cause scatenanti del declino di questa figura.

 

Negli anni ‘90 viene intervistata da uno scrittore americano, Arthur Golden, che sta facendo ricerche sul Giappone e si interessa al mondo segreto delle geisha.

Mineko accetta di parlare con Golden, a patto che tratti in modo confidenziale quello che lei dirà e che lo pubblichi in forma anonima. Il libro che ne verrà fuori è “Memorie di una geisha”

Golden non mantiene la parola data: rivela a tutti la sua fonte. Non solo, travisa anche parecchie cose raccontate da Mineko, diffondendo tutti quei pregiudizi che ancora oggi abbiamo sulla figura di queste artiste.

 

Dopo la pubblicazione del romanzo, la vita di Mineko diventa un inferno. Riceve moltissime critiche dall’interno del mondo delle geisha, perfino minacce di morte per aver violato il codice di segretezza che permea tutto il karyukai.

Iwasaki accusa Golden di aver rotto un patto di confidenzialità e di aver anche aggiunto molte inesattezze nel libro, aggiungendo dettagli un po’ scabrosi.

Nel 2001 Mineko decide di far causa a Golden per violazione di contratto e diffamazione e vince.

 

Ma se siete curiosi di conoscere la vera storia di una geisha, buone notizie: Iwasaki Mineko, assieme alla giornalista Rande Gail Brown, ha scritto la sua autobiografia “Storia proibita di una geisha”.

Giulia Faina

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