Immaginiamo come doveva apparire agli occhi di un Romano di inizio Cinquecento una villa dalla forma assolutamente innovativa, dalle mura esterne affrescate in bianco e nero, con una cornice di bassorilievi con puttini e festoni, con un grande parco d’ingresso e un non piccolo giardino segreto su un lato.
Immaginiamo ancora come gli affreschi che ornavano la volta dell’ingresso principale che raccontavano il tema natale del suo proprietario, il ricco banchiere Agostino Chigi, andassero contro corrente e anticipassero un argomento diventato poi principe nella riforma luterana: la predestinazione.
E come tutto ciò non provocò l’ostilità del Papa: né di Giulio II, né tanto meno di quel pontefice, Leone X, che scomunicò di lì a breve Martin Lutero, riaffermando perentoriamente il libero arbitrio di Santa Romana Chiesa.
Ma con la nostra fantasia, immaginiamo ancora un interno di questa villa, ancora in corso di allestimento parietale, ricercatamente arredata con pezzi unici, statue, di fattura antica.
Il banchiere, infatti, vi aveva già trasferito la sua già cospicua collezione, incaricando il suo segretario, l’umanista Cornelio Benigno, di integrarla, senza limiti di budget.
Dagli inventari e dalle testimonianze letterarie, è emersa infatti la complessità del progetto culturale di Agostino Chigi – che non a caso si guadagnò l’appellativo di “Magnifico” – che fu la linea guida per quello collezionistico.
La Villa, che noi oggi chiamiamo Farnesina per l’acquisto dei Farnese a fine Cinquecento, portò una folata di aristocrazia, bellezza e benessere in un rione, Trastevere, fatto di casupole abitate da coloro che svolgevano attività connesse al Tevere: conciatori di pelle, pescatori, realizzatori di reti e vele. Trastevere fu da sempre un rione popolare, dove a lavorare erano tutti in famiglia per soddisfare il fabbisogno: le donne erano le lavandaie dei signori che abitavano in città.
Il progetto culturale del Magnifico prevedeva invece che la sua villa suburbana diventasse una vera propria corte, con spettacoli sensazionali, teatro, musica e banchetti che intrattenevano ospiti illustri, amplificando la grandezza della Roma pontificia che proprio grazie ad Agostino Chigi era destinata a guadagnare il primo posto nell’immaginifico internazionale e ad offuscare per sempre Firenze.
Immaginiamo allora tutto il contorno di questo sfarzo, cioè quelli che in pratica lo realizzavano. Dai piccoli: camerieri, cuochi, rifornitori di cibo, lavandaie, stiratrici; ai grandi: chef, artisti.
In tutto questo contesto, immaginiamo l’arrivo a Villa Chigi di Raffaello che, giunto in sordina a Roma alla fine del 1508, aveva sbaragliato gli artisti della Corte papale, divenendone il preferito, e suscitando l’interesse del ricco banchiere che volle accaparrarsi “il migliore” per completare il suo progetto culturale.
Così quelle statue antiche – 80 all’interno e innumerevoli nei giardini – divennero le “modelle” di quegli affreschi che rendono Villa Farnesina un unicum, qualcosa che ogni Romano DEVE vedere almeno una volta nella vita.
Il dialogo tra le statue e gli affreschi ispirati alle favole di Ovidio, Apuleio e Filostrato, non fu prerogativa solo di Raffaello: anche Baldassarre Peruzzi nel suo “cielo” inserì alcuni “ritratti”. Un dialogo tra penna e pennello, insomma.
D’altra parte ne è linea guida il progetto di Agostino Chigi che incaricò il suo segretario di selezionare e acquistare i pezzi antichi – statue e monete – al fine di fornire i soggetti per gli affreschi che avrebbero decorato il suo sontuoso palazzo.
Arrivò dunque Raffaello che incaricò i suoi allievi di disegnare le statue in diverse angolazioni, per poi scegliere la visione più confacente al suo progetto. Ed è così che la Venere accovacciata – copia romana di I sec. a.C., oggi conservata a Palazzo Altemps – assume le sembianze della nereide in primo piano nell’affresco della Galatea e, ancora, il delfino che morde un polpo della Venere Ghetti (oggi in California) è riportato nel medesimo affresco tutto ispirato al Tiaso marino, il sarcofago posto in cima alla scalinata di Palazzo Corsini che fronteggia la Villa su Via della Lungara.
Raffaello è colto e naturalistico e prende ispirazione dalla Psiche alata di prima età imperiale – oggi conservata nel Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini – per realizzare la scena di Psiche che porge il vasetto della bellezza a Venere e narrare le peripezie di Psiche che ripercorrono la medesima travagliata salita sociale di Francesca Ordeaschi, amante di Agostino Chigi, che da cortigiana si elevò al rango di moglie legittima del banchiere, il cui banchetto nunziale ebbe luogo proprio in quella loggia affrescata per l’occasione. E sì, perché Agostino Chigi, innovatore, dalla vita sentimentale dinamica e curiosa, intollerante ai legami consacrati, come impone l’aver la Venere in Capricorno riportato nel suo tema natale dal Peruzzi, fece della Villa alla Lungara la residenza della sua amata Francesca e della numerosa prole avuta da lei, che sposò solo dopo anni di convivenza
Ecco come allora possiamo evincere che Villa Farnesina sia il fondamento del concetto di dialogo tra antico e moderno – che sarà quasi un secolo dopo il fulcro della pittura di Caravaggio – laddove lo stesso affresco di Baldassarre Peruzzi è un dialogo per superare l’antico: nella Sala delle Prospettive il dialogo prosegue nella statua dell’Arrotino – unica allora presente nella stanza – che rappresenta, in realtà, un sacerdote.
Il particolare momento economico favorì lo stabilirsi a Roma di importanti famiglie di mecenati, tra cui molte di banchieri fiorentini e lo spostamento dell’asse della Cultura e della bellezza da Firenze a Roma.
Villa Chigi, in ogni caso, finché visse il suo ideatore (morto ahimè solo 5 giorni dopo Raffaello) rimase il centro culturale romano.
Ma l’innovazione portata dal Magnifico e dai suoi eclettici artisti sopravvisse alla sua morte: Roma, grazie proprio ad Agostino Chigi che aveva radunato intorno a sé artisti del calibro di Raffaello, Baldassarre Peruzzi, Sebastiano del Piombo, nonché Giulio Romano e il Sodoma, ormai era diventata il salotto dell’Arte, la culla della bellezza, il luogo ove ogni artista anelava a vivere e lavorare.
Anna Maria
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