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Ei fu.

Oggi 5 maggio tutti lo abbiamo sicuramente ricordato: nel 1821 moriva a Sant’Elena Napoleone Bonaparte, il protagonista della prima fase della storia contemporanea europea chiamata, appunto per lui, età napoleonica.

La Corsica, dov’era nato nel 1769, era stata ceduta dalla Repubblica di Genova alla Francia da appena un anno. I genitori di Napoleone erano di origini toscane e in casa loro si parlava italiano.

Malinconico e “arrogantello”, egocentrico e un po’ complessato, sognatore ma capace di pragmatismo, era un uomo dalle mille contraddizioni, ma soprattutto uno straniero in casa degli oppressori della sua terra, i Francesi.

E un po’ per rivalsa e un po’ per amore, di quel popolo oppressore volle farsi re.

Vediamo come.

Padre e madre combatterono nella guerra fra i Corsi e i Francesi e Maria Letizia Ramolino combatté anche quando era incinta, addirittura in travaglio, partorendo Nabulio (questo il nomignolo con cui lo chiamavano i genitori), il secondo di ben 13 figli, tornando a casa da una battaglia.

Forse questo evento ha influenzato moltissimo la sua vita, rendendolo il più grande stratega della storia. Lo storico Evgenij Tàrle lo considera “l’incomparabile maestro dell’arte della guerra” e “il più grande dei grandi”.

La madre era la discendente di famiglie nobili toscane e lombarde e sposò Carlo Maria Buonaparte (Napoleone, poi, francesizzò il proprio cognome) che aveva appena 14 anni. Il padre era un avvocato che, ricostruendo il proprio albero genealogico, ottenne una patente di nobiltà che gli conferì prestigio in Patria e gli permise di meglio provvedere all’istruzione dei figli.

Fu proprio grazie a ciò che Napoleone poté accedere alla Scuola reale di Brienne-le-Château – non prima di aver frequentato per propria scelta un corso accelerato di francese – riuscendo particolarmente bene in matematica, per accedere successivamente alla Regia Scuola Militare di Parigi, uscendone a soli 16 anni con il grado di sottotenente.

Quattro anni più tardi, la Francia venne scossa dalla Rivoluzione e Napoleone vi aderì condividendone con entusiasmo gli ideali. Nel 1796 gli venne affidata la prima missione importante: fronteggiare l’esercito Austriaco nel Nord Italia. Qui Napoleone sbaragliò le truppe austriache e piemontesi, arrivando a liberare Milano dal dominio austriaco. L’Austria era sconfitta: con il Trattato di Campoformio perse la Lombardia e il Belgio, che diventarono francesi. E intanto in patria la popolarità di Napoleone continuava a crescere…

La campagna successiva fu quella d’Egitto e, consapevole di non aver conseguito i fini sperati, lasciò il comando al generale Kléber e tornò in patria dove, con l’appoggio del popolo, dell’esercito e di diversi membri del Direttorio, mise in atto il colpo di stato. Il governo formatosi era un triunvirato e dei tre consoli Napoleone era il più influente. Tant’è che a breve ottenne il consolato a vita – praticamente un sovrano assoluto – per poi essere proclamato dal Senato (maggio 1804) Imperatore dei Francesi e il 2 dicembre dello stesso anno, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, fu lui stesso ad incoronarsi, sottolineando così che nessuna autorità fosse superiore alla sua, compresa quella del Papa, dalle cui mani “tolse” la corona.

In breve tempo assoggettò gran parte dell’Europa che nel 1810 era definitivamente ridisegnata secondo il volere napoleonico. I territori sotto il diretto controllo francese si erano espansi ben oltre i tradizionali confini pre-1789; il resto degli Stati europei era o suo satellite o suo alleato.

Fu, effettivamente, il protagonista assoluto di oltre venti anni di campagne in Europa e, grazie al suo sistema di alleanze e a una serie di brillanti vittorie contro le potenze europee, conquistò e governò larga parte dell’Europa continentale, esportando gli ideali rivoluzionari di rinnovamento sociale e arrivando a controllare numerosi Regni tramite persone a lui fedeli.

Ma la disastrosa campagna di Russia (1812), segnò il tramonto del suo dominio. Sconfitto nella battaglia di Lipsia dagli alleati europei nell’ottobre del 1813, Napoleone abdicò il 4 aprile 1814 e fu esiliato nell’isola d’Elba. Nel marzo del 1815, abbandonata furtivamente l’isola, sbarcò a Golfe Juan, vicino ad Antibes, e rientrò a Parigi senza incontrare opposizione, riconquistando il potere per il periodo detto dei “cento giorni”, finché non venne definitivamente sconfitto dalla settima coalizione nella battaglia di Waterloo, il 18 giugno 1815. Trascorse gli ultimi anni di vita in esilio all’isola di Sant’Elena, sotto il controllo dei britannici, dove morì il 5 maggio 1821, non ancora cinquantaduenne, ma la sua eredità sopravvive ancora oggi. Dopo la sua caduta il congresso di Vienna ristabilì in Europa i vecchi regni pre-napoleonici.

Tuttavia, all’età napoleonica dobbiamo un grande lascito, ascrivibile soprattutto al periodo compreso tra il 1800 e il 1804.

Fu redatto il Codice civile, detto anche Codice Napoleonico, approvato il 21 marzo 1804. La sua riforma del sistema giuridico, confluita nel Codice, introdusse chiarezza e semplicità delle norme e pose le basi per il moderno diritto civile. Il Codice andò a toccare anche le regole per la successione, imponendo che una parte delle eredità dovesse essere divisa in modo uguale tra i discendenti. Napoleone però volle che nel Codice la donna risultasse totalmente sottomessa all’uomo al quale doveva assoluta obbedienza: non poteva ad esempio sottoscrivere un contratto o avviare un’azione autonomamente. Le controversie tra coniugi potevano tuttavia essere risolte col divorzio (al quale non si fece gran ricorso, almeno in Italia), purché chiesto consensualmente.

Anche il sistema amministrativo francese venne riformato: si abbandonò il decentramento della rivoluzione e si caratterizzò per un fortissimo accentramento statale.

Le strategie militari sono state oggetto di studio e applicate non solo in campo militare, ma anche nella gestione delle aziende.

Grazie a Napoleone venne sviluppata anche l’istruzione superiore con l’introduzione dei licei statali, scuole impegnative e riservate ai giovani di buona famiglia o di eccezionale talento. I licei napoleonici erano, come quelli di oggi, pubblici, finanziati cioè dal denaro raccolto con le tasse e con gli investimenti del governo, e i docenti erano dipendenti dello Stato. Analogamente a quanto accade ancora oggi, le scuole private venivano sottoposte a controlli e verifiche da parte di funzionari statali e nel 1806 venne introdotto il monopolio statale dell’istruzione universitaria (una sorta di Ministero per la ricerca e l’università).

Fu durante le campagne napoleoniche che si cominciò a sperimentare il cibo in scatola: merito del pasticciere Nicolas François Appert che ideò un metodo di cottura del cibo in vasetti di vetro a chiusura ermetica. Appert per la sua invenzione fu premiato con 12 mila franchi.

E, strano ma vero, la più grande conquista della spedizione in Egitto non fu militare o politica, ma scientifica: la scoperta da parte di un ufficiale francese della Stele di Rosetta, una tavola di granito dove accanto ai geroglifici c’è il testo tradotto in greco. Una scoperta di eccezionale importanza: ha aiutato i linguisti a capire finalmente i geroglifici, aprendo la strada allo studio dell’antico Egitto. Quella spedizione ebbe dunque il merito di far riscoprire, dopo centinaia di anni, la grandezza di quella terra, e fu proprio l’opera di Napoleone a far nascere la moderna egittologia.

Tuttavia, come tutti i grandi, anche la figura di Napoleone è ammantata di leggenda o di false notizie. Da sempre considerato “basso”: ebbene gli storici concordano che fosse alto circa 1,68 cm, ben 3 centimetri in più dell’ex presidente francese Nicolas Sarkozy! Forse sfruttando le ridotte dimensioni del suo letto (quello dell’Isola d’Elba, per esempio), il Napoleone “formato mignon” sarebbe una maldicenza degli Inglesi per sminuirne la fama sui campi di battaglia. Ma Napoleone, per essere “sempre in armi” dormiva seduto!

Né è vero che avesse la fobia dei gatti: non esiste alcuna evidenza storica che Napoleone soffrisse di ailurofobia. Ma era superstizioso e come molti europei del tempo si teneva lontano i gatti neri.

La stessa posa con la mano nella giubba era un’usanza molto diffusa tra coloro che si prestavano a un ritratto tra il 18esimo e il 19esimo secolo.

Il 17 luglio 1821, subito dopo aver appreso dalle colonne della «Gazzetta di Milano» la notizia della morte di Napoleone Bonaparte, avvenuta il 5 maggio precedente, Alessandro Manzoni scrisse di getto quell’ode – 5 maggio 1821 – che forse, più di ogni cosa, ha immortalato Napoleone tra i grandi, evitando che una damnatio memorie ne potesse offuscare le gesta, benché obiettivo della lirica non sia tanto glorificare la sua figura straordinaria, né tanto meno suscitare la commozione per la sua morte, quanto sviluppare, attraverso la figura di questo “uom fatale”, una personale riflessione sui limiti dell’agire umano e sul grande disegno della Provvidenza divina, cui occorre, cristianamente, adeguarsi.

La chiave di lettura è dunque tra etica e storia e si sviluppa in tre blocchi tematici: il primo, composto da quattro strofe, presenta il tema; il secondo, composto da dieci strofe, ripercorre l’epopea napoleonica; l’ultimo, composto da quattro strofe, riporta le conclusioni e pertanto le riserve morali e religiose. Il passato remoto, che si propone immediatamente, è efficace ed è utilizzato per indicare la grandezza delle imprese e una realtà compiuta.

Rileggiamola e analizziamola insieme.

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
(L’utilizzo del pronome Ei è scelto perché l’evento della morte di Napoleone è così importante da non rendere neanche necessario specificare chi sia il soggetto)

la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
(per “terra” si allude all’intera umanità, esterrefatta e basita per la morte di Napoleone)

la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
(“il mio genio” sta per la mia poesia ed è ripreso dal significato latino di ingenium=talento, disposizione naturale, qualità)

cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sonito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
(“Cadde, risorse e giacque”: tre verbi per riassumere le ultime fasi dell’epopea: la sconfitta di Lipsia del 1813, la successiva ripresa del potere nel cosiddetto periodo dei “Cento giorni” (20 marzo-8 luglio 1815) e la definitiva sconfitta di Waterloo il 18 giugno 1815)

sorge or commosso al subito
sparir di tanto raggio:
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
(“cantico”: già dalla scelta del termine traspare lachiave di lettura sulle vicende napoleniche: un senso alla sua mirabolante vicenda terrena, conclusasi nell’esilio e nella sconfitta, può essere dato solo dalla prospettiva trascendente della fede)

dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.
(“securo”: l’anticipazione dell’aggettivo mette in risalto il termine di riferimento, che qui è legato ad una metafora che spiega come, nel trionfo di Napoleone, l’ideazione e la messa in atto dei piani di dominio si susseguissero immediatamente come al fulmine segue il tuono. È così sottolineata la genialità strategica e militare del generale e l’ampiezza delle sue conquiste indicando terre geografiche e mari)

Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
(ed ecco i due versi divenuti proverbiali. Essi segnano il passaggio dalla rievocazione rapida delle imprese di Napoleone in terra all’interrogazione dubbiosa, da parte del poeta, sul senso e il significato di eventi che hanno cambiato il mondo, dove il giudizio conclusivo sulla “vera gloria” può essere dato solo da Dio, il “Massimo Fattor”, e dunque può essere solo frutto di un disegno provvidenziale, in cui Dio attraverso Napoleone ha lasciato “più vasta orma” del suo operato)

più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
serve, pensando al regno;

e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,

la reggia e il tristo esiglio:
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
(“Ei si nomò”: Napoleone si impose da sé un nome – oltre che il titolo di imperatore, incoronandosi da solo – e fu artefice del proprio destino. Convivono così nel personaggio la grandezza degli obiettivi imposti e raggiunti e la superbia di fronte a Dio per questi stessi risultati.” Due secoli l’un contro l’altro armato”: il 18° e 19° secolo sono contrapposti in quanto, schematicamente, il Settecento è il secolo della Rivoluzione francese e trionfo degli ideali illuministici, mentre la prima parte dell’Ottocento si caratterizza per la “restaurazione” del potere aristocratico-nobiliare e Napoleone fu lo spartiacque)

sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed arbitro
s’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
(all’ozio forzato, in quanto recluso nella sperduta isola di Sant’Elena, in mezzo all’Oceano Atlantico)

chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.

Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere

prode remote invan;
tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
(imprese che non si potranno da dimenticare, ma anche imprese lunghissime a scriversi: eterne pagine)

e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,

le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,

e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio,
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio

cadde lo spirto anelo,
e disperò: ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
(La strofa esplicita la prospettiva di fede attraverso cui è riletta la vita di Napoleone: il tormento del potere viene alleviato e purificato dalla provvidenziale “man del cielo” che lo trasporta in cielo)

e l’avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov’è silenzio e tenebre

la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
fede ai trionfi avvezza!
scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza

al disonor del Golgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
(“disonor del Golgota”, cioè alla croce simbolo di Cristo e della Fede, rinunciando al proprio superbo orgoglio, mentre ria=empia è in riferimento alle azioni commesse in vita da Napoleone ed alle passioni violente che suscitarono le sue imprese)

che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

(La morte solitaria di Napoleone, sorretto solo dalla provvidenziale presenza di Dio, deve allontanare da lui e dalla sua figura ogni giudizio malevolo od ipocrita, poiché egli ha saputo intuire che la vera grandezza è quella dei cieli e non quella del mondo terreno)

Anna Maria

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