Nato a Nizza il 4 luglio del 1807, spirito libero e giusto, può essere considerato un “cittadino del mondo”: non esitò mai, infatti, a mettersi al servizio della causa degli oppressi ovunque ve ne fosse bisogno, in Brasile come in Uruguay, in Sicilia, in Campania, a Roma e persino nella guerra franco-prussiana del 1870, dove si batté per la Repubblica francese che aveva sostituito il potere assoluto di Napoleone III, i cui eserciti avevano battuto Garibaldi a Roma nel 1849 ed alla battaglia di Mentana nel 1867.
Tutto, a rischio anche della propria vita, per perseguire un unico e universale ideale di libertà, affiancato – purtroppo solo per pochi anni – da una donna altrettanto straordinaria, Anita, che la vita la perse davvero combattendo.
Spiace e indigna che oggi si voglia infangare l’operato di quest’uomo integerrimo, definito addirittura negriero e avventuriero, corrotto e traditore, volgare ladro al quale sarebbe stato tagliato l’orecchio perché ritenuto colpevole di furto di bestiame.
La storia a lui coeva e importanti suoi contemporanei, ci raccontano tutt’altro
È vero. Nel 1864 la regina Vittoria non volle riceverlo, ma disse “Onesto, disinteressato e coraggioso, Garibaldi lo è di sicuro. Però è un capo rivoluzionario”. Al contrario, Karl Marx lo ritenne troppo poco rivoluzionario sono perché Garibaldi, pur essendo un repubblicano convinto, da uomo pragmatico qual era, aveva fatto suo il motto “Italia e Vittorio Emanuele”, finendo così con l’accettare, nell’interesse superiore dell’Unità d’Italia, che i Savoia ne diventassero la Casa regnante. D’altra parte lo stesso Marx pochi anni disse che “Spartaco emerge come uno dei migliori protagonisti dell’intera storia antica. Un grande generale (benché non un Garibaldi), un carattere nobile, un genuino rappresentante dell’antico proletariato”
Le imprese di Garibaldi furono talmente note da procurargli l’appellativo di “Eroe dei due Mondi” e, quando fu invitato in Inghilterra dal primo ministro inglese Lord Palmerston trovò un treno speciale imbandierato col tricolore italiano ad accoglierlo insieme ad una folla immensa di cittadini: si stima oltre mezzo milione di persone e, dicono le cronache, che la carrozza che dalla stazione doveva condurlo dal premier ci impiegò diverse ore, nonostante il tragitto fosse poco più di cinque chilometri e fu distrutta dalla pressione della folla.
Insomma gli Inglesi, freddi e distaccati per antonomasia, gli riservarono un’accoglienza calorosa ed entusiasta, consacrandolo anche nel loro Paese, come già lo era altrove, a leggenda vivente: d’altra parte Victor Hugo aveva definito “Uomo della libertà, uomo dell’Umanità”.
Non a caso nel giugno 1861 gli era stato offerto un posto di comando nell’esercito nordista nella guerra di secessione americana, ma la causa italiana, la sua causa, era quella a cui volle volgere la sua attenzione e la sua azione.
E se era stato disponibile ad accettare denaro per finanziare le imprese militari in cui credeva, totalmente disinteressato al denaro fu per se stesso. È indubbia, infatti, la modestia dei modi e la frugalità dello stile di vita, tanto da rifiutare con fermezza sempre e comunque regali personali. Nel 1875 gli fu riconosciuta dal Parlamento italiano una rendita vitalizia che Garibaldi prontamente rifiutò; solo l’anno successivo la accettò, spinto dall’opera persuasione di Francesca Armosino, sua compagna e futura moglie nonché madre dei suoi ultimi figli, per le precarie condizioni di salute in cui versava e per l’indigenza in cui tutta la famiglia era costretta a vivere.
Diffamazioni ex post mirate ad offuscare un uomo famoso al mondo al pari di altri nostri grandi quali Dante, Michelangelo e Cristoforo Colombo quando uomini illustri suoi contemporanei lo hanno celebrato ed osannato. Diceva di Garibaldi Edmondo De Amicis: “Egli fu maestro, marinaio, operaio, negoziante, soldato, generale, dittatore. Era grande, semplice e buono. Odiava tutti gli oppressori, amava tutti i popoli, proteggeva tutti i deboli; mai aveva altra aspirazione che il bene, rifiutava gli onori; disprezzava la morte, amava l’Italia”.
Fondò anche la “Regia società torinese protettrice degli animali”, oggi ENPA, con la motivazione di: “Proteggere gli animali contro la crudeltà degli uomini, dar loro da mangiare se hanno fame, da bere se hanno sete, correre in loro aiuto se estenuati da fatica o malattia, questa è la più bella virtù del forte verso il debole”
A riprova che fosse un eroe romantico, padre fondatore della nostra Italia che aveva la Patria “non solo sulle labbra ma nel cuore” e che con le fatiche sue e di tanti ci fa sentire Popolo e uniti.
Anna Maria
Visita guidata tematica: Il Gianicolo, amori e battaglie della Repubblica Romana