I Bignè di San Giuseppe sono una tradizione culinaria che affonda le radici nell’antica Roma che il 17 marzo celebrava i Liberalia, dedicata al Liber Pater, altro nome di Bacco.
Durante questa festività, i giovani di 16 anni, dopo una cerimonia presso il tempio del Dio, venivano reputati uomini, pronti a mettere su famiglia e procreare figli legittimi.
In segno di devozione si offrivano in dono alla divinità pani e dolci di farina di grano fritti nell’olio.
Con l’avvento del Cristianesimo, dedicatario delle celebrazioni della festa che segnava il passaggio dall’inverno alla primavera divenne San Giuseppe.
Questo perché, come nei Liberalia, i festeggiamenti prevedevano riti, processioni e fuochi: una sorta di gesto “liberatorio” che vedeva i falegnami che, per propiziare l’arrivo della bella stagione, bruciavano con grandi falò gli scarti di magazzino, mentre le strade si riempivano di banchetti che vendevano frittelle..
La tradizione dei “fuochi” è ancora radicata nella città di Itri, in provincia di Latina: in occasione della festa, vengono accesi diversi fuochi e falò nei principali rioni del paese, il tutto accompagnato da balli e musiche tradizionali e degustazione di prodotti tipici locali.
Nel Medioevo, nei pressi della chiesa di San Giuseppe dei falegnami al Foro Romano, era tradizione allestire dei piccoli banchetti che vendevano queste frittelle.
Nel Seicento la ricetta era ormai diffusa su tutto il territorio e nel Settecento ne assunse la denominazione corrente: “Bignè di San Giuseppe”, mentre il nome “zeppola”, più antico, divenne ormai indicatore della variante al forno diffusa a Napoli. Ne è testimone d’eccellenza Goethe che nel suo “Viaggio in Italia” racconta che i friggitori allestivano dei banchetti davanti alle loro botteghe in occasione della giornata di festa, friggendo e servendo al momento questi dolci ai clienti.
Di sicuro, risale invece al 1837 la prima ricetta scritta delle Zeppole di San Giuseppe, presenti nel noto trattato di cucina napoletana “Cucina teorico-pratica” di Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, che rappresenta il primo compendio di ricette tipiche della gastronomia napoletana.
Il nome deriverebbe da serpula (serpe) in richiamo alla forma di serpe arrotolata che ha la frittella, oppure da saeptula (dal verbo che significa cingere) che designava gli oggetti di forma rotonda in genere: infatti la zeppola è un cerchio di pasta che avvolge la crema ed è ornata da un’amarena!
C’è una leggenda di fondo che indirizza la scelta, tra il pantheon dei santi, proprio verso San Giuseppe: quando questi fuggì in Egitto insieme a Maria e al piccolo Gesù, dovette abbandonare la sua attività di falegname. E allora, per sostenere la famiglia, si sarebbe “reinventato” friggitore e avrebbe creato proprio il dolce che successivamente prese il suo nome, personalizzando le “antiche” frittelle.
Proprio in richiamo a questa leggenda, nel 1950 Checco Durante, poeta romanesco, dedicò una poesia a San Giuseppe “frittellaro”:
San Giuseppe frittellaro,
tanto bono e tanto caro,
tu che sei così potente
da aiutà la pòra gente,
tutti pieni de speranza
te spedimo quest’istanza.
Fa sparì da su ‘sta tera
chi desidera la guera;
fa venì l’era beata
che la gente affratellata
da la pace e dal lavoro
nun se scannino tra loro…..continua a leggere
E ora, vogliamo fare i bignè?
Ecco qua la mia ricetta testata e….buonissima!
In un pentolino, sciogliere in 250 gr di acqua con un pizzico di sale gr 100 di margarina (o burro); togliere dal fuoco e aggiungere in un sol colpo 250 grammi di farina; amalgamare fino ad ottenere una palla liscia e lasciare raffreddare; aggiungere, una per volta, 4 uova medie, amalgamandola ognuna energicamente. Ecco il composto pronto per essere fritto in abbondante olio di semi, procedendo con un cucchiaio per volta: le palline gireranno e saranno pronte quando avranno un colorito ben dorato. Scolate dall’olio in eccesso, saranno pronte per essere farcite (perché sono vuote) con la crema pasticcera
Vi do anche questa ricetta? Eccola, testatissima, è quella che mi ha insegnato mia nonna!
In un pentolino mettere 3 tuorli e 4 cucchiai di zucchero e amalgamare; aggiungere, uno per volta, 3 cucchiai rasi di farina; aggiungere quindi, un po’ per volta, mezzo litro di latte. Mettere sul fuoco e portare a cottura sempre girando il composto che sarà pronto quando la consistenza è tale che, se messo un cucchiaino in un piattino, se posto in verticale, non “cola” e comunque non prima che la crema avrà preso il bollo,
Ecco pronta la farcìa per dei buonissimi Bignè di San Giuseppe. Se poi li “rotoliamo” nello zucchero, saranno divini!
Buona festa del papà!
Anna Maria