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I bulli di Roma

Arroganti e scanzonati, un po’ destreggiatori di coltellacci e un po’ paladini della giustizia: la storia dei “tipi” che hanno fatto la romanità!

La parola “bullo”, tutta romana, sembra abbia invece un’origine tedesca: potrebbe derivare dal medievale “bühle” ovvero “amatore, amante, ganzo” parola usata nelle ballate, attribuibile perlopiù ad un damerino, oppure da “bulle” ovvero “toro” inteso non come l’animale, ma come un uomo robusto, violento, prepotente.

Il bullo di Roma non aveva niente a che fare con il “guappo” di Napoli o il “baüscia” di Milano. Il bullismo romano era un fenomeno psicosociale, diffuso almeno fino alla prima guerra mondiale. Il bullo era disinteressato a qualsiasi tipo di sfruttamento economico, ricercando piuttosto una posizione sociale. La sua era volontà di esibizionismo, di mettersi in mostra, come se vivesse continuamente una competizione agonistica.

I bullo di Roma era un ragazzo scanzonato, sempre armato di coltello, spavaldo e coraggioso. Considerato non come un qualunque prepotente, ma come uomo d’onore, deciso, “omo de panza, omo de sostanza”, come si dice a Roma. Nella psicologia del rione si stabiliva una gerarchia di prestigio e di rispetto per la quale il bullo era “er più”, ovvero il capopopolo, e realizzava così il suo desiderio di supremazia.

Trastevere è senza dubbio molto caro ai bulli. Fino agli anni ’70 del secolo scorso, prima della trasformazione che l’ha reso il cuore della movida, era il rione popolare, dove c’era molta povertà e anche un po’ di delinquenza. Celeberrimo “Il fattaccio di vicolo del Moro” una poesia di Amerigo Giuliani del 1911, recitata solitamente da Gigi Proietti, che racconta un fatto di cronaca nera avvenuto proprio a due passi da Piazza Trilussa. Assolutamente da ascoltare anche il remake del giovane repper Anastasio (lo trovate su questo link → https://www.youtube.com/watch?v=vLKH4xZWuz4).

I registri degli ospedali del Santo Spirito e di Santa Maria della Consolazione erano pieni di referti e rapporti su ferite, omicidi, vere e proprie stragi che avvenivano a Roma, in special modo il sabato nei pressi delle Osterie. Una Roma violenta dunque, abituata a ricucire ferite profonde da coltello o da pugnale, spesso con fuoriuscite di interiora, per così dire “tener fede” alla minaccia tipicamente romana del “te metto le budella ‘n mano”.

Sempre nei suddetti registri si ritrovano una lista di nomi dei responsabili di tali ferite, nomi che sembrano inventati da qualche sceneggiatore fantasioso: er Torello, er Burinelli, er Tarmato, er Facocchio, er Barbieretto, er Pizzuto, er Gramicetta, er Capo Rabbino, Stivalone, er Framiciotto, er Ciripicchiola e via dicendo.

I mestieri praticati dai bulli solitamente richiedevano forza fisica e decisione, come il macellaio, lo scalpellino, il muratore, il pesciarolo, il carrettiere, il venditore ambulante, lo scaricatore di porto, il barbiere.

Il fenomeno del bullismo romano è però essenzialmente noto grazie alle maschere, ovvero tipi teatrali, carnevaleschi che usano la gestualità e la dialettica dei bulli, incarnando lo spirito romano popolare.

Le maschere di bulli più famose sono indubbiamente Meo Patacca e Rugantino.

Meo Patacca è un’invenzione Giuseppe Berneri, che lo rende protagonista della sua opera in versi “Roma in feste ne i Trionfi di Vienna”. Si tratta della caricatura di un soldato che non si tira mai indietro, infatti “patacca” era la paga dei soldati. Meo Patacca è il tipico sgherro di Trastevere, il capopopolo rionale, che forma un esercito di Trasteverini e organizza una spedizione a Vienna per contrastare “li turchi”. Esilarante il film del 1972 diretto dal regista Marcello Ciorciolini che vede l’indimenticabile Gigi Proietti come protagonista, per l’esattezza è il suo primo film da protagonista (lo trovate su Youtube https://www.youtube.com/watch?v=jG2xJ1iPe_M).

Rugantino è la caricatura del gendarme e viene identificato con il capo dei briganti. Il suo nome deriva da “ruganza” ovvero il romanesco di “arroganza”. È in realtà considerato l’”anti-bullo” perché è la controfigura del bullo, ovvero si vanta, sbraita, urla, ma poi le prende di santa ragione. Come Pulcinella protesta sempre, ma se Pulcinella alla fine dà bastonate a tutti, Rugantino le prende da tutti e poi esclama “eh me l’ha date, ma quante je n’ho dette!”. È attaccabrighe per partito preso: ha l’arguzia di Pasquino e la prepotenza di Meo Patacca, ma non ne combina bene una. È un fanfarone simpatico, perché si rivela per quello che è: un povero diavolo che non sa fare l’eroe!

Rugantino diventa poi la famosissima commedia musicale di Garinei e Giovannini, che è stata realizzata diverse volte. La prima versione è del 1962 e vede Nino Manfredi nelle vesti di Rugantino e Aldo Fabrizi in quelle di Mastro Titta. Su Youtube è disponibile la versione del 1978 al Teatro Sistina

(Primo tempo: https://www.youtube.com/watch?v=pwR-5GIqj6I

Secondo Tempo: https://www.youtube.com/watch?v=92pZ2i_36yk )

Esiste poi un bullo realmente esistito, talmente famoso da divenire una maschera: er Tinea.

Romeo Ottaviani detto “er Tinea” era “er più” di Trastevere. Nasce nel 1877 a Rione Borgo, poi si trasferisce con la famiglia a Piazza Renzi e ci rimane fino alla morte. Era un fattorino delle poste, ma fu dichiarato il capo dei bulli di Roma poiché difese una prostituta maltrattata dal suo protettore. Infatti divenne il bullo che difendeva i più deboli dai criminali, ed era riconosciuto dalle stesse autorità. Purtroppo fu assalito da un certo “Bastiano er Sartoretto” mentre faceva una passeggiata con la sua famiglia. Era il 1910, morì molto giovane, ma la sua fama gli procurò diversi omaggi teatrali, come “Er più de Trastevere” di Gastone Monaldi e “Er Tinea, l’ultimo dei bulli” di Claudio d’Amico.

Che siano realmente esistiti o solamente delle maschere, i bulli di Roma sono stati parte integrante del tessuto sociale dell’Urbe e i loro modi di dire e di atteggiarsi si sono integrati nel linguaggio e nella cultura romana per essere presenti anche oggi.

A Trastevere, nonostante i grandi cambiamenti del rione, si respira ancora quell’aria popolare e tradizionale e, con un po’ di immaginazione, si riuscirebbero ancora a vedere i numerosi coltelli e coltellacci appesi sotto il portico di Santa Maria in Trastevere: quando un bullo si pentiva, infatti, “attaccava il coltello al chiodo”, per non riprenderlo più!

Per approfondire:

Rossetti B., I bulli di Roma: fatti, fattacci e avventure di una popolare figura della tradizione romanesca, Tascabili Economici Newton 1996

Verdone M., Le Maschere Romane: da Meo Patacca a Rugantino, da Ghetanaccio al Generale Mannaggia La Rocca, un racconto divertente sul carnevale romano, Tascabili Economici Newton 1997

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