Dal 2020 il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro Dario Franceschini, ha istituito il “DanteDì”, la giornata nazionale dedicata al sommo poeta.
La data selezionata non è a caso: il 25 marzo, il giorno in cui Dante inizia il suo viaggio attraverso i terribili gironi dell’Inferno, le cornici del Purgatorio, i cieli e le sfere del Paradiso.
E quest’anno, questo giorno ha ancora più significato, se si pensa che, nel 2021, ricorrono i 700 anni dalla morte del più grande poeta italiano – e, probabilmente, del mondo.
Se la data della morte è certa (Dante muore nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321), quella di nascita resta ancora un mistero: probabilmente, considerando che nell’anno 1300 viene fissato “il mezzo del cammin” della sua vita – cioè il trentacinquesimo anno di vita – possiamo indicare come anno il 1265.
Dante nasce in realtà con il nome di Durante e, secondo Boccaccio, la gloria poetica è già scritta nel suo destino: racconta, infatti, l’autore del Decameron, che mentre era ancora in dolce attesa del bambino, la madre di Dante, Bella degli Abati, avesse avuto la visione di un alloro altissimo.
Per quanto riguarda il suo cognome, Alighieri, questo apparteneva ad una famiglia di spicco fiorentina, che godeva anche di una certa agiatezza economica.
A nove anni avviene l’incontro che segnerà la sua vita e la sua poetica: quello con Beatrice, che incontrerà di nuovo nove anni dopo, nell’ora nona del giorno. Da quel momento, il 9 sarà il numero che assocerà alla donna, simbolo della massima espressione dell’amore divino, in quanto multiplo di 3, la Santa Trinità.
In quell’occasione, Beatrice gli rivolge un saluto che il poeta, per timidezza, non ricambia: è in questo saluto che comincia e si esaurisce la storia di questo grande amore idealizzato.
È Beatrice – che storicamente viene identificata con Beatrice Portinari, giovane fiorentina che morì a soli 24 anni – a ispirargli le sue opere più pregiate, nonché ad essere la musa del suo Dolce Stil Novo, quel tipo di poesia che si rifaceva alla lirica provenzale, spogliandola di tutta la sua sensualità, per rivestirla invece di una forte carica religiosa e sacrale, in cui la donna diviene angelo: non ha più una dimensione terrena, ma spirituale, mistica, salvifica.
Dante la canta nella Vita Nova (in cui si trova il famoso sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare”), per poi giurare di non parlarne più finché non fosse stato in grado di scrivere un’opera degna di lei.
E dopo la disperazione per la morte della donna, arriverà finalmente a scrivere la “Comedìa”, a cui anni dopo verrà conferito l’appellativo “divina”.
E il viaggio mistico principia proprio con i versi “Nel mezzo del cammin di nostra vita”, incipit del primo canto dell’Inferno, genesi della giornata che oggi celebriamo.
Giulia Faina