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Il “Tributo della Moneta” del Cavaliere Calabrese

Il dipinto, conservato a Palazzo Corsini a Roma, fu realizzato da Mattia Preti nel 1635.

Il Cavaliere Calabrese, soprannome dovuto alla concessione del titolo di “Cavaliere” da parte di Papa Urbano VIII Barberini durante la sua attività nell’Urbe, fu pittore molto attivo nella penisola italiana, in particolare a Roma, Napoli e Malta, dove lavorò per tutta la seconda parte della sua vita e dove morì il 3 gennaio 1699. Per la bellezza delle sue opere, Roberto Longhi lo ritenne: «corposo e tonante, veristico e apocalittico».

Nato a Taverna, piccolo borgo dei monti della Sila, Mattia Preti è stato uno dei più grandi artisti del Seicento e il suo successo gli valse appunto il titolo di cavaliere: la sua lunga carriera, dagli inizi a Roma insieme al fratello Gregorio e segnati dall’interesse sia per i pittori caravaggeschi che per i pittori bolognesi, fu un crescendo di successi. Mattia Preti fu un artista molto prolifico e ha lasciato una grande mole di opere, oggi conservate in diversi musei in tutto il mondo.

Durante il suo soggiorno a Roma, entrò in contatto con l’arte di Caravaggio e con l’ambito dei pittori caravaggeschi. Infatti, questo dipinto riflette tutte le caratteristiche del caravaggismo, quali fondo scuro, pose ed espressioni realistiche, ma elabora anche le suggestioni del Guercino.

In particolare, nell’impostare la composizione, Mattia Preti realizza un groviglio di mani indaffarate che diventa il nodo centrale della composizione e cattura subito lo sguardo dell’osservatore. Con l’eccezione di Cristo e Pietro, vestiti secondo la tradizione, i personaggi indossano abiti seicenteschi, così che la scena sembra ambientata nella realtà quotidiana in cui vivevano il pittore e i destinatari del dipinto.

Ma l’ispirazione a Caravaggio non si ferma a questi particolari: il riferimento alla “Vocazione di San Matteo” custodito nella chiesa di San Luigi dei Francesi è evidente.

L’ambientazione nella taverna, per esempio, la differenza degli abiti delle figure rappresentate (coevi e d’epoca) e il gioco di luce che dalla fonte di grazia divina investe colui che della grazia necessita.

La luce infatti che emana Cristo scorre sui volti delle figure frapposte tra i due personaggi chiave, Cristo e il gabelliere, e si ferma su quest’ultimo, che totalmente ignaro dell’avvenuto miracolo, è preso solo dallo svolgere il suo compito: esattamente come avviene nel dipinto di Caravaggio che, raffigurando San Matteo, si ispira al suo stesso scritto:

 “Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù: «Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va’ al mare, getta l’amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te»” (Mt 17,24-27)

Il dipinto di Mattia Preti raffigura l’episodio narrato nel Vangelo di Matteo nel momento in cui viene pagata la tassa al gabelliere, con chiare evidenze a tutta la narrazione.

Il riferimento all’episodio evangelico è chiaro infatti sia nell’uomo che tiene la mano sul pesce appena eviscerato, sia per Gesù che compie un gesto calmo e fermo, a conferma della sua serena partecipazione ai doveri civici, sia per San Pietro che porge la moneta d’argento al gabelliere. L’esattore delle tasse, vestito con eleganza, allunga la mano per prendere riscuotere: è soltanto da questo particolare che Mattia Preti lascia intendere il miracolo che è appena avvenuto.

Il pittore realizzò la scena con lettura in chiave quotidiana, ovvero con una particolare declinazione del caravaggismo che prediligeva scene di genere, tratte dalla vita di tutti i giorni, con personaggi a mezzo busto.

Malgrado la spiccata propensione per lo stile di Caravaggio, Mattia Preti in realtà ha uno stile personale, che mescola il classicismo, il barocco, il naturalismo, prendendone gli elementi fondamentali e adeguandoli ad espressività e continua ricerca.

L’ambientazione è scura, ma la drammaticità delle figure è inserita in un contesto meno crudo rispetto a quello del Caravaggio e la luce irradiata dalla figura di Gesù conferisce profondità e tridimensionalità.

L’esser nato in una famiglia della piccola nobiltà locale lo facilitò nel suo percorso formativo, perché poté permettersi di studiare e viaggiare.

Nella Roma del Seicento, infatti, sebbene il principale nome di riferimento fosse quello di Caravaggio – declinato, ovviamente, secondo le accezioni dei pittori caravaggeschi, in particolare di Bartolomeo Manfredi – non fu il suo unico modello, perché la sua formazione non si svolse solo a Roma: Mattia Preti viaggiò anche nell’Italia settentrionale. A Venezia conobbe Tiziano, Il Veronese e Il Tintoretto, si trattenne in Emilia dove entrò in contatto con l’arte impressa da pittori come i Carracci, il Domenichino e il Guercino, e le fonti parlano anche di un viaggio in Francia avvenuto dopo il 1640: Mattia Preti fu dunque un artista che ebbe un vasto numero di suggestioni che influenzarono la sua arte nel corso del tempo. È ricordato da più parti come uno degli artisti più importanti del Seicento, tra i maggiori del Meridione, per la sua originalità, per la qualità delle sue opere, per il fatto che fu un artista molto prolifico e richiesto, per il fatto che sapesse coniugare influenze diverse tra di loro nei dipinti senza eccessi e con grande abilità, per la sua grande apertura a diverse fonti di ispirazione che resero la sua arte mai costante nel tempo.

La sua esperienza fu importante per molti artisti che si ispirarono a lui e che a loro volta ispirarono l’artista, come Luca Giordano, per esempio.

Mattia Preti morì a La Valletta nel 1699 alla veneranda età di 86 anni (li avrebbe compiuti il 25 febbraio) e sulla sua tomba il priore Camillo Albertini fece scolpire un epitaffio semplice ma di grande effetto: “Hic iacet magnum picturae decus” ossia “Qui giace il grande decoro della pittura”, in riferimento all’eredità artistica da lui lasciata.

Parafrasando il suo titolo, che tanto anelò Caravaggio e che ottenne nella terra di Malta, Mattia Preti può essere definito sicuramente il “Caravaggista Calabrese”!

Anna Maria

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