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La Morte della Vergine

Il capolavoro di Caravaggio, oggi al Louvre, doveva trovarsi a Trastevere.

Nel 1606, su commissione del giurista Laerzio Cherubini, Caravaggio realizzò una tela con la raffigurazione de “La Morte della Vergine”, che doveva decorare una delle cappelle di Santa Maria della Scala, a Trastevere. Appena terminato, il quadro fu prontamente rifiutato, poiché ritenuto indecoroso e non attinente alle Sacre Scritture. Oggi, infatti, non si trova più a Roma e nemmeno in Italia, bensì in Francia, al Louvre.

Ma torniamo ai tempi del nostro amato artista…

Siamo nella Roma della Controriforma. La Chiesa effettua un controllo serrato sulle opere d’arte. Caravaggio vive a Roma da più di 10 anni ma, nonostante non lo sia fisicamente, si sente mentalmente sempre più solo, incompreso. Da qualche tempo si è avvicinato ad alcune donne, o più precisamente “Madonne” dell’epoca: si tratta di giovani cortigiane e prostitute, spesso sfruttate o maltrattate da alcuni personaggi non molto cari al nostro artista. Uno di questi è Ranuccio Tommasoni, un arrogante spocchioso che non esita a sporcarsi le mani per ottenere ciò che gli fa più comodo.

Ma perché questo quadro fece tanto scalpore da essere rifiutato?

Al centro c’è il corpo della Vergine Maria, disteso su un letto. Maria è rappresentata giovanissima, nonostante sia effettivamente morta in età matura, e gravida. I suoi piedi sono scalzi e scoperti fin sopra le caviglie. Intorno, gli apostoli la piangono insieme alla Maddalena, in primo piano. Maria è in realtà il ritratto di una di quelle “Madonne”, una ragazza giovanissima: Anna la Senese. Anna aveva deciso di lasciare il mestiere, per dedicarsi al lavoro di lavandaia, più umile ma anche più dignitoso, che le avrebbe ridato la libertà che le mancava. Anna, però, era ormai troppo addentrata in quel mondo per uscirne incolume…dopo ripetute minacce fu avvelenata con la belladonna, un veleno che fa rigonfiare il ventre, e il suo corpo fu gettato nel Tevere; in questo modo i suoi assassini ne simularono il suicidio, facendo credere che, come tante prostitute, si fosse gettata nel fiume, perché rimasta incinta.

La storia di Anna era ben più complessa e non poteva rimanere nell’oblio…

Caravaggio le era molto legato e, per colmare il vuoto lasciato dalla sua perdita, decise di immortalarla rendendola protagonista di questo quadro. Il tema della tela, infatti, è proprio l’immortalità: la gioventù della Vergine Maria è un inno all’immortalità, il fatto che sia gravida la rende pregna della Grazia divina, che la rende immortale. Chiude il cerchio della vita e della morte il catino di rame in primo piano: si usava per lavare il corpo del defunto, ma anche quello del neonato.

E se volessimo entrare nel profondo dell’animo dell’artista, scopriremmo che in realtà egli stesso si è immedesimato nella Vergine. Intorno al Suo corpo, infatti, non tutti stanno piangendo in maniera sincera: gli Apostoli stanno solamente recitando una pantomima, sono falsi e ipocriti come la società del Seicento; l’unico pianto sincero è quello di Maria Maddalena, una prostituta pentita come la piccola Anna, che Cristo stesso perdonò e volle al Suo fianco.

È così che Caravaggio denuncia un periodo in cui, tra ipocrisie e controsensi, spesso la società del tempo era ben lontana dal messaggio cristiano.

Isabella Leone

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