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La Grande Onda, l’icona dell’Arte giapponese

L’arte giapponese del periodo Edo (tra il 1600 e il 1868) si sofferma, più di ogni altra, sulla bellezza. La bellezza di una donna, del teatro, di una danza, o anche la bellezza di fiori di ciliegio che spuntano, per poi cadere poche settimane dopo, ricordandoci come le cose più belle della vita siano sempre destinate alla fine. Ma poi, ci ricorda la saggezza nipponica, quei fiori caduti dagli alberi, colorano le strade intorno a loro, perché la bellezza non sparisce mai del tutto: si trasforma.

Questo sentimento squisitamente giapponese si chiama, in lingua, mono no aware e indica quella nostalgia, quella malinconia, di quando si gode della bellezza delle cose che sfuggono, che cambiano e finiscono.

Questo spinge gli artisti del periodo Edo (periodo che prende il nome dalla città che in quegli anni diviene il centro del Giappone e che lo è ancora oggi, ovvero Edo, l’odierna Tokyo) a elaborare visioni in forma di stampa chiamate ukiyo-e, ovvero “immagini del mondo fluttuante”: un mondo di piacere, divertimento, eleganza e raffinatezza, destinato, come abbiamo già detto, a passare.

Così, tra le immagini che raffigurano belle donne in attività quotidiane (bijinga) e le stampe che immortalano le espressioni del teatro tipico giapponese, il kabuki, ecco risvegliarsi negli artisti anche la passione per i meravigliosi paesaggi naturali, che colgono nei loro cambiamenti al passare delle stagioni.

Tra il 1826 e il 1833 Katsushika Hokusai, probabilmente il più famoso tra questi artisti giapponesi, realizza 36 xilografie (altre dieci saranno aggiunte successivamente, a seguito del successo delle prime) intitolate 36 vedute del Monte Fuji, inserite nel filone dei meisho-e, cioè le “immagini di luoghi famosi”.

Il Monte Fuji, la cui vetta innevata è ben stampata anche nel nostro immaginario collettivo occidentale, è uno dei soggetti preferiti per i Giapponesi: amano questo loro simbolo a tal punto, che una leggenda racconta di una dea che vi posò sulla cima un elisir di vita. Il Fuji viene visto come la sorgente dell’immortalità.

La prima di queste vedute è diventata oggi un’icona: è la Grande Onda, opera entrata a tal punto nel mondo pop che addirittura figura tra le emoji di whatsapp!

Ma andiamo a conoscere la storia dietro questa immagine, partendo dal titolo completo: La Grande Onda di Kanagawa.

La nostra attenzione è subito attratta dalle grandi onde che sconquassano il mare. La Grande Onda che dà il titolo è colta nel momento esatto in cui è al massimo della sua altezza e potenza, pronta a infrangersi. E su chi si infrange questa grande e spaventosa onda?

Sulle tre imbarcazioni che sfuggono alla vista dello spettatore disattento.

Infatti, è una scena tragica quella che ci troviamo davanti: le tre chiatte, chiamate in lingua oshioukuri-bune, utilizzate per trasportare il pesce ancora vivo da Kanagawa a Edo, stanno per essere completamente sommerse dalla terribile onda anomala. L’onda – che molti scambiano per uno tsunami – ci appare quasi feroce: la spuma della sua cresta assume la forma di terribili artigli pronti a trascinare sul fondo del mare gli uomini a bordo.

Il vero protagonista dell’opera, però, è lui: il Monte Fuji, che vediamo stagliarsi sullo sfondo, al centro. Bellissimo e imponente, rimane immobile a fissare la tragedia, sacro e lontanissimo, indifferente alla caducità della vita umana.

L’opera influenzò molto sia i suoi connazionali che noi occidentali: Van Gogh e gli Impressionisti ne rimasero affascinati.

Cosa meno nota è che anche il nostro stile contagiò l’opera di Hokusai.

Il realismo e la precisione dell’arte occidentale erano molto apprezzati nel Giappone del Periodo Edo, anche se tutte le informazioni arrivano filtrate: il Paese del Sol Levante, infatti, era chiuso in se stesso, completamente isolato dal resto del mondo con una politica isolazionista che prende il nome di “sakoku” ovvero “paese incatenato”.

I contatti con gli stranieri erano pochi e controllati, e limitati a popoli come cinesi, coreani e olandesi. Tuttavia due novità europee contagiano i Giapponesi: la prospettiva e il Blu di Prussia, che permette a Hokusai di rendere l’idea della profondità dell’acqua.

La Grande Onda arrivò da noi solo alla fine del Periodo Edo, nel 1868, con la riapertura del Paese alle influenze e ai contatti col resto del mondo. E fu proprio quest’opera, nella sua apparente semplicità, a dare il via al fenomeno del giapponismo, cioè l’attrazione e l’interesse degli artisti (soprattutto francesi) per la cultura del Paese del Sol Levante.

Dopo due secoli, finalmente il Giappone tornava a mostrarsi al mondo, liberandosi della prigione dorata in cui era rimasto (godendo però di ottima salute!). E forse, secondo alcuni, il significato della Grande Onda è proprio questo: il desiderio del popolo giapponese di uscire da quell’isolamento, tornare a viaggiare e a scoprire. Ma è loro impossibile farlo: una grande e terrificante onda li tiene chiusi nei loro confini.

Giulia Faina

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