Quando Gabriele D’Annunzio non era ancora Il Vate, pubblicò un’opera intitolata “Elegie Romane”. Su una copia, scrisse: <<Alla Divina Eleonora Duse>>.
Colpita da quella dedica, la grande attrice volle conoscerlo a tutti i costi, non ricordando, o preferendo ignorare, l’incontro – anzi, gli incontri – senza successo che i due avevano avuto qualche anno prima.
Si erano visti, infatti, per la prima volta, al Teatro Valle: lei aveva appena interpretato in maniera sublime la protagonista de La Signora delle Camelie. Lui aveva diciannove anni e aveva già scritto tre romanzi e a Roma lavorava come cronista mondano con la rubrica Cronache bizantine. Dopo lo spettacolo, il giovane D’Annunzio si recò nei camerini, dove le fece una proposta indecente: giacere con lui quella notte stessa. La Duse lo cacciò indignata. Un secondo incontro, di nuovo a teatro. Lei ancora la meravigliosa protagonista e lui, tra il pubblico, le gridò “Oh, grande amatrice!”. Lei sorrise: era abituata a quei complimenti.
Ma è a Venezia che i due ebbero modo di conoscersi e la donna perse completamente la testa per il poeta, accontentando ogni sua richiesta, ogni capriccio. Scrisse in una lettera: “Ho quarant’anni, e amo.”
L’amore di D’Annunzio per la Duse è più ambiguo, invece: se il giovane era rimasto ammaliato dalla grande attrice, l’uomo è più disincantato, cinico, interessato. Amava vivere nel lusso e sapeva che l’attrice guadagnava abbastanza da poterlo assecondare in ogni suo desiderio. Voleva scrivere per il teatro e aveva bisogno di un grande nome per lanciare le sue opere. Eleonora l’accordò: da tempo desiderava ampliare il suo repertorio e avrebbe voluto recitare in opere scritte appositamente per lei da autori italiani. Il teatro di D’Annunzio, però, si rivelò un insuccesso e la Duse arrivò ad indebitarsi sempre di più.
Il poeta spendeva, sperperava, dissipava; Eleonora pagava, chiudeva un occhio, perdonava anche i tradimenti, personali e professionali. Lasciò correre anche quando lui offrì la parte principale della sua nuova opera a Sarah Bernhardt, l’attrice francese sua acerrima rivale. Donò a D’Annunzio la casa di sua proprietà in cui i due avevano vissuto fino ad allora, la Porziuncola, ma questo regalo le si ritorse contro: D’Annunzio usava l’abitazione per portarci altre donne.
A segnare la fine del rapporto, l’ennesimo tradimento di D’Annunzio. La Duse era costretta a letto a causa di un malanno. Invano aspettò una visita del poeta che invece era tutto preso dalla bella vita che lui definì “necessaria, come l’aria che respiro.” Per Eleonora, quella fu la fine, altro non potè più sopportare. Scrisse in una lettera: “Siamo due, ma io morta.”
La vita li portò lontano, la gloria per lui, la rovina per lei. A causa dei debiti in cui il poeta l’aveva lasciata, la Duse finì la sua vita in povertà. Morì a Pittsburgh, negli Stati Uniti, durante una tournée. La famiglia non ebbe nemmeno i soldi per far rientrare il corpo in patria.
Alla notizia della morte di Eleonora, D’Annunzio, forse in un lampo di redenzione, commentò: “È morta quella che non meritai.”
Giulia Faina
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