La cucina romana, la più antica e rinomata, è necessariamente influenzata da quella ebraica.
Una contaminazione fatta di vita, perché se il “serraglio” di quel terribile 12 luglio 1555, ha tentato di isolare, anzi ghettizzare, una comunità presente a Roma da più anni del papato, questo non ha impedito ai Romani, tutti, di convivere, familiarizzare e condividere.
L’insediamento della comunità ebraica a Roma risale dal 161 a.C., quando una delegazione da Gerusalemme venne a Roma per chiederne l’alleanza. Da allora, le reciproche culture, hanno percorso insieme la storia dell’Urbe.
E il punto di maggior fusione è sicuramente l’arte culinaria, al punto che spesso diventa difficile distinguere i piatti della tradizione romanesca da quelli giudaici, come nel caso della crostata di ricotta e visciole, nota, beffardamente, come “Torta papalina”.
Chi ha inventato chi?
Pare però che questa sia tutta giudaica. E sì perché altro non è che la necessaria risposta – si fa per dire – all’Editto sopra gli Ebrei firmato da Papa Pio VI il 15 febbraio 1775 con il quale, ai paragrafi da 22 a 34, regolava l’interazione tra Ebrei e Cristiani. Tra questi sanciva che non era più permesso vendere generi alimentari di base ai Cristiani e a questi di comprarli dagli Ebrei. Insomma per farla breve, il Papa vietò agli Ebrei di vendere latticini ai Cristiani.
Ma i prodotti che sfornavano i pasticceri ebrei erano famosi in tutta Roma e i Cristiani erano degli ottimi clienti.
Ed ecco allora che le menti dell’una e dell’altra parte cooperarono, una chiedendo e l’altra realizzando, mandandola in barba al Papa e ai suoi gendarmi!
Fu così che i fornai del ghetto di Roma nascosero il ripieno di ricotta e visciole tra due strati di morbida pasta frolla, creando una crostata coperta golosa e delicata, comunemente chiamata “Torta Papalina”.
Dal ‘900, tra i vicoli del ghetto romano, la storica pasticceria Boccione – una piccola bottega di pochi metri quadrati nella quale vengono sfornati i più buoni dolci della tradizione ebraica romana, tutti rigorosamente kosher – ha fatto della Torta Papalina il suo biglietto da visita, continuando a mantenere la copertura di pasta frolla al posto della classica griglia.
La ricetta, tramandata di generazione in generazione ai soli gestori del forno, è segreta, ma la sua fama è sparsa ormai in tutta Roma, al punto che non è inusuale trovare lunghe file di persone davanti alla porta, in attesa di gustare una delle sue specialità.
Per questa ricetta viene preparata una pasta frolla così detta “alla romana”, ossia più friabile rispetto a quella che viene utilizzata per fare le crostate, appunto per consentire la realizzazione del guscio ripieno di ricotta e visciole.
Navigando su internet, si trova la ricetta più o meno tradizionale, non la segreta, ovviamente; ma io, come sempre, vi do la mia: facile, veloce e, soprattutto, testata!
Per la frolla:
Lavoro 70 gr. di burro morbido con 200 gr. di zucchero
Aggiungo, uno per volta, 2 tuorli e un uovo intero
Profumo il tutto con la buccia di un limone grattugiato
Aggiungo 12 cucchiai di farina, un cucchiaino di lievito per dolci e un pizzico di sale (questi 2 ingredienti li frappongo alla farina)
Il panetto che si ottiene deve riposare una ventina di minuti in frigorifero, per essere più malleabile, coperto
Intanto preparo la ricotta di pecora (200/250 gr), messa precedentemente a scolare, alla quale aggiungo un cucchiaio di zucchero, mescolando accuratamente, fino ad ottenere un composto liscio.
Preparo infine lo stampo (questo impasto va bene per uno da 28cm di diametro), ungendolo con un po’ d’olio d’oliva, cospargendolo di un velo di farina.
A questo punto, prendo il panetto e lo divido a metà. Stendo direttamente in teglia una parte con le mani impolverate di farina facendolo aderire anche ai bordi.
Ricopro il fondo uniformemente con la ricotta, faccio un secondo strato con la confettura di visciole a pezzi (200/250gr): obbligatoria questa successione, perché le visciole devono “nascondere” la ricotta!
Stendo la seconda metà di frolla, realizzando un disco di 28cm di diametro sopra la carta-forno che mi consente di posizionarlo senza romperlo a copertura della crostata.
Sigillo il tutto “abbassando” i bordi con i denti di una forchetta, dentellando anche la copertura.
Inforno: la temperatura deve essere già a 180° e la cottura è di 20/25 minuti.
Al di là della classica prova dello stuzzicadente (che, se troppo prematura, rovina la cottura: c’è il lievito), ci si accorge che la crostata è pronta dal colore e, soprattutto, dall’odore!
Vi svelo una curiosità: questo era il dolce preferito di Alberto Sordi!
Assaggiatela: aspetto i vostri commenti….ah, la base è buona anche per solo ricotta o solo marmellata e se ne avanza un po’, perché magari late i rotolini a guarnizione, potete fare dei deliziosi biscotti!
Anna Maria