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L’albero e il presepe, simboli immancabili del Natale

I Romani usavano decorare le loro case con rami di pino durante le Calende di gennaio. Tutte le calende erano dedicate a Giunone, eccetto quelle di gennaio, marzo e giugno. Quelle di gennaio erano chiamate Saturnalia e iniziavano al Solstizio d’Inverno. Questo periodo prevedeva grandi festeggiamenti ove era sovvertito l’ordine sociale: un mondo alla rovescia in cui gli schiavi, temporaneamente liberi, potevano comportarsi da padrone. C’era addirittura l’elezione di un Princeps a cui veniva assegnato ogni potere.

Tuttavia, la connotazione religiosa prevaleva su quella sociale, tant’è che il “princeps” era in genere vestito con una buffa maschera e colori sgargianti, tra i quali spiccava il rosso, il colore degli dèi. Rappresentava infatti di Saturno, protettore delle campagne e dei raccolti.

Le case dei romani si preparavano ai festeggiamenti e venivano decorate con alberi sempreverdi, abitudine diffusa già tra i Celti durante le celebrazioni del Solstizio d’Inverno.

Con l’avvento del Cristianesimo, l’uso dell’albero di Natale si affermò anche nelle tradizioni cristiane: decorare l’albero sostituiva i riti sacrificali, perché si elevavano i doni a Dio. Benché il pino, come sempreverde, fosse il simbolo della rinascita, la Chiesa delle origini ne vietò l’uso (troppo di richiamo alle abitudini pagane!) e lo volle sostituire con l’agrifoglio, per simboleggiare con le spine la corona di Cristo e con le bacche le gocce di sangue.

L’albero natalizio ha una valenza cosmica che lo collega alla rinascita della vita dopo l’inverno e al ritorno della fertilità della natura, cioè quel che accade al giorno le cui ore di luce, dal solstizio d’inverno, cominciano ad aumentare facendo risvegliare lentamente la natura.

Benché anche nella Bibbia il simbolo dell’albero sia presente più volte – dall’albor vitae posto al centro del paradiso terrestre all’albero della Croce – la tradizione dell’albero di Natale si conservò nei secoli solo nell’Europa del nord, offuscando nelle menti “latine” il vero significato della tradizione che lasciò il passo al Presepe.

Infatti, solo con il pontificato di Giovanni Paolo II venne reintrodotta ufficialmente la tradizione dell’albero nella Chiesa cattolica che fu allestito per la prima volta nel 1982 in Piazza San Pietro, il cuore del cattolicesimo mondiale.

Al di là dell’offerta dei doni che si elevano verso Dio, rappresentati oggi dalle decorazioni, allegoricamente, la celebrazione del legno è il ricordo della Croce che ha redento il mondo.

Anche la tradizione del Presepe, generalmente identificata con quello fatto da San Francesco a Greccio, ha una tradizione che affonda le sue radici nei più remoti tempi dell’antica Roma precristiana.

I Lari erano gli antenati defunti che, secondo le tradizioni romane, vegliavano sul buon andamento della famiglia. Ogni antenato veniva rappresentato con una statuetta, di terracotta o di cera, chiamata sigillum (da signum = segno, effigie, immagine). Le statuette venivano collocate in apposite nicchie ed erano onorate con l’accensione di una fiammella. Questo rituale veniva svolto al terzo giorno del Solstizio d’inverno, il nostro 24 dicembre, in occasione di una riunione familiare che culminava con lo scambio di beneauguranti strenne, cioè regali.

I primi a descrivere la Natività furono gli evangelisti Luca e Matteo: nel loro racconto c’è l’immagine di quello che poi nel Medioevo è diventato il “praesepium“, dal latino “mangiatoia”.

Il presepe che tutti conosciamo, però, si deve alla volontà di San Francesco d’Assisi.

L’idea di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Gesù Bambino, era venuta al Santo Poverello nel Natale del 1222, quando a Betlemme ebbe modo di assistere alle funzioni per la nascita di Gesù. Francesco rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poter ripetere le celebrazioni per il Natale successivo. Poiché a quei tempi le rappresentazioni sacre non potevano tenersi in chiesa, il Papa gli permise di celebrare una messa all’aperto. E così, la notte della Vigilia di Natale del 1223, a Greccio, San Francesco allestì il primo presepe vivente della storia: i frati con le fiaccole illuminavano il paesaggio notturno e all’interno di una grotta fu allestita una mangiatoia riempita di paglia con accanto il bue e l’asinello, ma senza la Sacra Famiglia.

Il primo presepe con tutti i personaggi risale al 1291 per opera di Arnolfo di Cambio che è conservato nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.

Ma il presepe che allestiamo nelle nostre case, con tanti personaggi, tutti simbolicamente significativi, è tradizione che dobbiamo a S. Gaetano di Thiene, praticamente l’inventore del presepe napoletano, avendolo allestito egli stesso per la prima volta nell’Ospedale degli Incurabili di Napoli.

A Napoli allestire il presepe è un vero e proprio rituale, un momento “magico” che si attende tutto l’anno e che va condiviso con tutti i componenti della famiglia: ognuno deve dare il suo contributo per la realizzazione. In questa rappresentazione Paradiso e Inferno, Bene e Male, Pagano e Cristiano coesistono. Ogni singola statuina, ogni singolo decoro, ogni luogo nascondono una simbologia, un significato ben preciso che va oltre la semplice raffigurazione della Natività.

Ma vediamo i luoghi e i personaggi di “cornice”, quelli che non possono mancare in un presepe che si rispetti e il loro valore simbolico:

Il paesaggio è montuoso e pieno di sentieri tortuosi, disseminati di pastori che scendono verso la grotta, sempre situata in basso e in primo piano: è il percorso del cristiano che scende nelle tenebre (i sentieri tortuosi) prima di raggiungere la luce, cioè la rinascita rappresentata da Gesù Bambino. Non a caso, il Natale cade al Solstizio d’Inverno quando la luce del sole, dopo esser caduta nelle tenebre dopo il Solstizio d’Estate comincia a riguadagnare terreno luminoso

Il pozzo rappresenta il collegamento tra la terra e le acque sotterranee da cui, durante la notte di Natale, possono venir fuori gli spiriti maligni, perché è il momento in cui il Male si scatena prima della nascita del Bene. È quindi un simbolo estremamente negativo: rappresenta la bocca dell’Inferno, ma anche l’oscurità in cui ogni uomo può cadere nonostante la salvezza offerta da Dio.

La fontana con la donna: secondo i Vangeli apocrifi, l’arcangelo Gabriele avrebbe annunciato alla Vergine la nascita di Cristo vicino a una fontana.

Il ponte, essendo un passaggio che conduce “dall’altro lato”, rappresenta il collegamento con “l’al di là”.

Il mulino ha pale che girano come il tempo, quel tempo che rinasce la notte di Natale, dopo il Solstizio. Produce la farina, simbolo della vita, perché è l’ingrediente fondamentale del pane.

Il fiume rappresenta il tempo – Passato, Presente e Futuro – perché l’acqua richiama il liquido amniotico, il parto della Madonna e quindi la nascita della vita.

La locanda abbonda di vivande da consumare durante il pranzo di Natale, che è in realtà un banchetto funebre, visto che si seppellisce il tempo che muore prima di rinascere. Secondo i Vangeli, quando Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme chiesero ospitalità in parecchie locande e taverne, ma non la ebbero. Poiché al tempo della creazione del presepe napoletano nelle locande si praticava la prostituzione e attività illegali, la locanda rappresenta i peccati degli uomini che la venuta di Cristo ha liberato

Benino o Benito: in riferimento alle Sacre Scritture: «E gli angeli diedero l’annunzio ai pastori dormienti». Posto in un angolino, è la figura di cornice più importante di tutto il presepe e per questo va posizionato in cima al presepe dal momento che da lui dovrebbe discendere ogni personaggio ed ogni luogo allegorico mostrato. Su un piano più simbolico, invece, rappresenta l’intera umanità, dormiente e pigra di fronte al divino.

Il vinaio e Cicci Bacco: coppia simbolo della “rivoluzione religiosa” che avverrà con la morte del Messia. Difatti il vino e il pane, saranno i doni con i quali Gesù istituirà l’eucaristia, diffondendo il messaggio di morte e resurrezione al Regno dei Cieli. Ma contrapposto a ciò, c’è la figura di Ciccibacc ‘ngopp a bott’, il pagano tra i cristiani. La sua origine è molto antica e risale al culto del vino e alle antiche divinità pagane, come Bacco (dio del vino). Dall’aspetto grosso e dalle guance rosse, nel presepe si colloca davanti alla cantina con un fiasco in mano, scelta non casuale, ovviamente, che sta ad indicare la vicinanza tra il sacro e profano e la sottile linea che li separa, l’eterna lotta tra il bene ed il male.

Il pescatore è simbolicamente il pescatore di anime. Il pesce fu il primo simbolo dei Cristiani: il pesce, il cui nome greco è ichthys, è acronimo di Gesù Cristo Figlio di Dio e Salvatore.

I venditori di cibo sono sempre dodici, uno per ogni mese dell’anno: a Gennaio: macellaio o salumiere; Febbraio: venditore di ricotta e di formaggio; Marzo: pollivendolo e venditore di altri uccelli; Aprile: venditore di uova; Maggio: coppia di sposi con cesto di ciliegie e di frutta; Giugno: panettiere; Luglio: venditore di pomodori; Agosto: venditore di anguria; Settembre: venditore di fichi o seminatore; Ottobre: vinaio o cacciatore; Novembre: venditore di castagne; Dicembre: pescivendolo o pescatore.

Il Pastore della Meraviglia, posizionato sempre in prossimità della grotta, ha le braccia e la bocca spalancate perché assiste con stupore alla nascita di Gesù. In lui c’è tutta la meraviglia della scoperta del divino, l’incontenibile sorpresa dell’uomo che viene in contatto con qualcosa di immenso. Per alcuni sarebbe lo stesso Benino ‘risvegliato’ nel suo stesso sogno.

I due compari: zi’ Vicienzo e zi’ Pascale, sono la personificazione del Carnevale e della Morte. Non a caso al cimitero delle Fontanelle in Napoli si mostrava un cranio indicato come “A Capa ‘e zi’ Pascale” al quale si attribuivano poteri profetici, tanto che le persone lo interpellavano per chiedere consigli sui numeri da giocare al lotto.

Il monaco: viene letto in chiave dissacrante, come simbolo di un’unione tra sacro e profano che si realizza nel presepe napoletano.

La zingara: è una giovane donna, con vesti rotte ma appariscenti. La zingara è un personaggio tradizionalmente in grado di predire il futuro. Ma le arti divinatorie non sono bandite dalla religione cristiana? Non esattamente. Infatti questo personaggio è allegoria della profezia incarnata dalle Sibille nelle sacre rappresentazioni di un tempo. Una sibilla sul Campidoglio annunciò ad Augusto la nascita di Cristo; nel punto ove era l’oracolo fu infatti costruita l’Ara Coeli, poi diventata basilica cristiana. La zingara del Presepe ha tra le mani dei chiodi che indicano il futuro del piccolo nascituro: la crocifissione.

Stefania: È una giovane vergine che, quando nacque il Redentore, si incamminò verso la Natività per adorarlo. Bloccata dagli angeli che vietavano alle donne non sposate di visitare la Madonna, Stefania prese una pietra, l’avvolse nelle fasce, si finse madre e, ingannando gli angeli, riuscì ad arrivare al cospetto di Gesù il giorno successivo. Alla presenza di Maria, si compì un miracoloso prodigio: la pietra starnutì e divenne bambino, Santo Stefano, a cui è dedicato il 26 dicembre, giorno dopo Natale, il primo dopo quello dedicato a Gesù

Le lavandaie sedute davanti ai secchi mentre lavano i panni, rappresentano le levatrici che accorrono per aiutare la Vergine. Esse stendono panni candidi, che rappresentano la verginità di Maria.

La meretrice, simbolo erotico per eccellenza, contrapposto alla purezza della Vergine, si colloca nelle vicinanze dell’osteria, in contrapposizione alla Natività che è alle spalle.

I Mendicanti, Zoppi e Ciechi rappresentano le anime del Purgatorio che chiedono preghiere ai vivi.

Pastori e Pecore: rappresentano il “gregge” dei fedeli che incontra Dio grazie alla guida avveduta dei pastori, i sacerdoti.

Bue e Asinello: secondo la tradizione il bue e l’asinello riscaldarono con il loro fiato la mangiatoia in cui venne riposto Gesù. Simbolicamente rappresentano invece il Bene (bue) e il Male (asino). Non sono due forze in contrasto, ma bilanciate fra di loro dànno ordine al mondo intero: rappresentano l’equilibrio perfetto. Insomma, Platone e il mito dell’auriga!

I re magi: Rappresentano il viaggio notturno della stella cometa che si congiunge con la nascita del nuovo “sole-bambino”. In questo senso va interpretata la tradizione cristiana secondo la quale essi si mossero da Oriente, che è il punto di nascita del sole. In origine rappresentati in groppa a tre diversi animali – cavallo, dromedario e elefante -che rappresentano rispettivamente l’Europa, l’Africa e l’Asia. Possono essere anche rappresentati in groppa a cavalli di colori differenti, uno bianco come il sole nascente, uno sauro rossiccio come il sole al tramonto e uno nero come la notte, quindi le tre fasi del giorno, ovvero il percorso del Sole. Quando dopo la notte giungono al cospetto di Cristo, che rappresenta il sole che risorge, i tre Re rappresentano il mondo e il tempo che si ferma per la nascita del figlio di Dio. La parola magi è il plurale di mago: sono infatti sapienti con poteri regali e sacerdotali. Il Vangelo non parla del loro numero, che la tradizione ha fissato a tre, in base ai loro doni, cui è stato poi assegnato un significato simbolico: oro per la regalità del Bambino nato, incenso a ricordare la Sua divinità, mirra preludio della Sua morte, fonte di vita eterna.

Anna Maria

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