Intessuta con la storia di Roma e dei Romani è certamente quella della comunità ebraica.
Dall’esodo della Palestina, i primi Ebrei sono arrivati a Roma nell’età repubblicana soprattutto come schiavi. Col tempo questi hanno saputo, avendone l’opportunità, riscattare la loro libertà.
I Liberti nell’antica Roma erano una classe oscillante dall’alto in basso; in molti sono riusciti a ricoprire cariche importanti, financo quella di ministro.
Per l’abitudine di questa comunità di concentrarsi in zone “tra pari”, i rioni ove si acquartieravano erano chiamati “giudecche”.
La prima concentrazione avvenne soprattutto a Trastevere, dove è stato recentemente scoperto – sotto Palazzo Leonori, in via delle Mura Portuensi – il più esteso cimitero ebraico, prima che se ne impiantasse uno nuovo a quelle pendici dell’Aventino che scendono a valle verso il Palatino.
Successivamente la comunità lasciò il Trans Tiberim e si trasferì al di là di pons Judeorum (Ponte Fabricio), colonizzando il rione sempre in riva al Tevere.
È là che papa Paolo IV Carafa volle costruire il serraglio e chiudervi i componenti della comunità ebraica dal tramonto all’alba, imponendo loro un segno distintivo di colore giallo quando – e solo di giorno – ne fossero usciti.
Tale restrizione non fu l’unica.
Furono limitati nelle attività lavorative, di istruzione e religiose, costretti a vivere in precarie condizioni igieniche, usati nelle feste per essere derisi e costretti a partecipare al sabato – il loro giorno sacro – alle prediche cristiane coatte.
Tali pratiche erano invise a tutti anche al popolo romano che solidarizzava con i loro concittadini fuorché ai vari papi che nella storia si sono avvicendati.
Insomma, l’Editto di Milano del 313 d.C. con il quale Costantino liberalizzò tutti i culti, favorì l’ascesa di quel potente papato che schiacciò prepotentemente la comunità ebraica sebbene questa si fosse insediata a Roma molto tempo prima del papa.
Benché la comunità fu premiata all’inizio del Novecento dall’elezione a Sindaco di un loro appartenente, Ernesto Nathan, al quale la città di Roma deve molto per le migliorie urbanistiche, l’avvento del fascismo e le conseguenti leggi razziali hanno riportato nel terrore e indigenza questa comunità.
Il 16 ottobre 1943 furono rastrellati nel Ghetto ben 1024 ebrei, senza distinzione di sesso e di età, e deportati nei campi di concentramento; solo 15 ne tornarono vivi.
Oggi il Ghetto è uno dei rioni caratteristici di Roma, distinto dall’imponente Sinagoga, in stile ispirato a motivi assiro-babilonesi e all’Art Nouveau, e attraversato per tutta la sua lunghezza da Via del Portico d’Ottavia, il corso sul quale si affacciano tanti negozietti e ristoranti capaci di donare al concittadino o al turista transitante millenni di tradizioni gastronomiche tipiche di questa comunità, intrise di storia e di religiosità.
Anna Maria
Visita guidata tematica: Segreti e misteri del Ghetto ebraico