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Il Papato contro l’Impero

Molte città italiane possono vantare un legame col Sommo poeta: Verona, “lo primo tuo refugio, ‘l primo ostello”, come preannuncia allo stesso Dante il suo antenato Cacciaguida nel canto XVII del Paradiso; Ravenna, la città in cui poi morirà, forse di malaria.

Firenze, ovviamente, la città che gli ha dato i natali, tanto amata e tanto odiata, oggetto delle sue cure da politico, delle sue invettive da poeta.

E poi anche Roma.

 

A Roma Dante arrivò come ambasciatore nell’ottobre del 1301: sarà il suo ultimo atto politico per Firenze; poi, proprio di ritorno da questo viaggio nell’Urbe, riceverà la notizia dell’esilio.

Roma segna quindi un punto decisivo per la vita del Sommo, caduto anche lui vittima dell’eterna lotta tra Papato e Impero, che in Toscana si traduceva così: Guelfi contro Ghibellini.

 

Firenze, all’epoca di Dante, si prepara a diventare la città più importante della Toscana e più in là lo sarà proprio dell’Europa tutta, ma è una città fortemente divisa, un po’ come lo è tutta la Toscana.

All’inizio ci sono i guelfi e i ghibellini, e poi solo i guelfi, divisi però in bianchi e neri.

Ma chi sono queste quattro fazioni, per cosa parteggiano e cosa rappresentano?

 

In principio, fu l’Europa: Europa divisa nel Partito del Papa, cioè quelli che a Firenze chiamano “guelfi”, e il Partito dell’Imperatore, che fa capo a Federico II di Svevia, lo “stupor mundi” e cioè i ghibellini.

 

Col sostegno dell’imperatore Federico II i ghibellini, negli anni ‘40 del ‘200, sconfiggono i guelfi e li cacciano dalla città, perché così funzionava al tempo: la fazione perdente non restava a fare opposizione, veniva direttamente scacciata dalla città. E tra questi guelfi esiliati c’è anche un certo Bellincione, che lascia Firenze insieme ai suoi sei figli, tra cui Alighiero, futuro padre del nostro Dante.

 

Nel 1250 muore Federico II e il partito del Papa torna a farsi sentire: rientrano i guelfi esiliati, che sconfiggono i ghibellini con l’aiuto del Governo del Popolo: una novità assoluta, perché fino ad allora la lotta fra guelfi e ghibellini, era sempre stata fatta dai nobili. Guelfi e ghibellini erano partiti dei nobili. Adesso invece per la prima volta si fanno avanti gli imprenditori: mercanti, artigiani ricchi, banchieri… Si fanno chiamare il Primo Popolo ed hanno simpatie guelfe. I guelfi quindi tornano a Firenze e con loro anche la famiglia Alighieri.

 

Questo Governo di Popolo dura appena dieci anni. Nel 1260, cinque anni prima della presunta nascita di Dante, nella Battaglia di Montaperti, i ghibellini senesi sconfiggono e scacciano i guelfi fiorentini. E’ qui che avviene il famoso episodio narrato anche nella Commedia dantesca, in cui i ghibellini vorrebbero distruggere Firenze, ma Farinata degli Uberti, uno dei loro esponenti più in vista, glielo impedisce.

 

I ghibellini governano Firenze fino al 1266, anno in cui Carlo d’Angiò scende in Italia alla conquista del Regno di Napoli, sconfigge e uccide Manfredi, erede di Federico II, e con questa sconfitta tornano i guelfi a Firenze, stavolta per sempre.

 

Insomma, i guelfi spadroneggiano a Firenze e si spartiscono tutto: sono così ricchi che i banchieri guelfi finanziano la Chiesa. E’ inevitabile, a questo punto, che le famiglie guelfe più ricche finiscano per litigare fra loro su come e quanto spartirsi questa torta bella cicciotta. Fondamentalmente, non vogliono dividerla, ecco.

 

A risaltare in questo momento sono due importanti famiglie: quella dei Cerchi e quella dei Donati. Sono loro che si contendono l’egemonia politica, e quindi anche economica, di Firenze. Attorno a loro si creano due schieramenti, quelli che poi andranno a formare i guelfi bianchi e i neri.

 

I bianchi, capeggiati dai Cerchi, vicini di casa di Dante, erano sì a favore del potere papale, ma solo su tutto ciò che concerne lo spirito. Rifiutavano le sue intromissioni politiche, volevano un’indipendenza totale e non volevano che il Papa mettesse bocca sulle decisioni cittadine. Erano inoltre aperti anche alle forze popolari.

 

Dall’altra parte, sotto gli stendardi dei Donati, c’erano i guelfi neri, un gruppo di famiglie ricche e nobili di Firenze, che sosteneva invece il controllo del Papa su Firenze, auspicando che si espandesse anche su tutta la Toscana. Non nascondevano il fatto che, chiaramente, i loro interessi economici erano legati al Papa.

 

Da questa contesa, saranno i neri a uscirne vincitori e monteranno su dei processi politici in cui condannare chi è stato al potere negli ultimi anni. E tra questi, c’è proprio il nostro Dante, che sarà accusato di corruzione, fondamentalmente.

 

E quand’è che Dante viene a sapere tutto questo? Proprio quando si trova qui a Roma.

 

«Alighieri Dante è condannato per baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estortive, proventi illeciti, pederastia, e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia”»
(Libro del chiodo – Archivio di Stato di Firenze – 10 marzo 1302)

Giulia Faina

Immagine di copertina:
Dante e Cacciaguida (Par. XXVIII), Giovanni di Paolo

 

Visita guidata tematica: I luoghi di Dante a Roma

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