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La Flagellazione di Cristo, opera somma di Sebastiano del Piombo

Una delle chiese sconosciute di Roma, fuori dai classici itinerari turistici, è certamente San Pietro in Montorio, uno scrigno d’arte che custodisce capolavori assoluti e unici, a partire dal Tempietto del Bramante, la massima espressione dell’equilibrio rinascimentale.

Entrando nella chiesa, ad unica navata con cinque cappelle per lato, di cui le ultime – più ampie – formano un transetto costituendo una chiesa a croce latina, se si volge lo sguardo a destra, alla prima cappella, si può ammirare qualcosa di straordinario, un’opera che Giorgio Vasari, descrisse così:

Il Cristo alla colonna, che fece in San Piero a Montorio, infino ad ora non ha mai mosso et ha la medesima vivezza e colore che il primo giorno: perché usava costui questa così fatta diligenza, che faceva l’arricciato grosso della calcina con mistura di mastice e pece greca, e quelle insieme fondate al fuoco e date nelle mura, faceva poi spianare con una mescola da calcina fatta rossa, o vero rovente, al fuoco. Onde hanno potuto le sue cose reggere all’umido e conservare benissimo il colore senza farli far mutazione”.

Vasari lo scrisse qualche lustro dopo la sua realizzazione, noi lo possiamo dire a cinquecento anni di distanza.

Un Cristo dal corpo atletico, possente e ancora intatto. Nella scena è rappresentato infatti l’attimo prima che i carnefici vibrino i loro colpi. La testa è china sulla spalla sinistra. L’espressione trasmette insieme calma e rassegnazione per un destino che sa di dover affrontare necessariamente, ma che già sa che terminerà con la vittoria sulla morte.

È un Cristo Triumphans.

La scena è tagliata a metà, trasversalmente, dagli indumenti bianchi. I due livelli che ne scaturiscono, nettamente recisi, permettono allo spettatore di focalizzare prima i movimenti delle gambe, quasi una danza; poi, sopra, la forza, il dinamismo tragico e sacrilego dei colpi che si stanno per abbattere sul Cristo.

Il corpo classico apollineo rimanda alla monumentalità di Michelangelo. Sebastiano del Piombo, infatti, che si era formato nella bottega di Giovanni Bellini, giunto a Roma virò il suo stile verso quello michelangiolesco

D’altra parte, Sebastiano del Piombo e Michelangelo Buonarroti costituirono per decenni una coppia ben affiatata. Sebastiano possedeva quell’uso veneziano del colore che consentiva a Michelangelo di creare un concorrente al suo avversario Raffaello e quindi lo supportava per ottenere prestigiose commissioni.

Fu così che, mentre Sebastiano ultimava la Flagellazione di San Pietro in Montorio, gli arrivò la commissione per un’opera di medesimo tema ma di costruzione assai diversa. Era il 1525 e il chierico della Camera Apostolica monsignor Giovanni Botonti chiese al Luciani di dipingere un bis, ovvero una tela dedicata alla Flagellazione che riprendesse l’impostazione di San Pietro in Montorio.

Sebastiano del Piombo, che aveva già dipinto per il committente viterbese una memorabile Pietà per l’altare della sua cappella gentilizia a San Francesco alla Rocca a Viterbo, volle replicarsi. Quando un artista “si replica” lo fa più per mettersi alla prova che per altro. Nonostante ciò, committente e commissionato entrarono in conflitto per il compenso. A dirimere la vicenda su chiamato Michelangelo, che comunque era un chiaro riferimento per la pittura dell’amico Sebastiano: nella Flagellazione di Viterbo questo rapporto emerge prepotentemente.

Una lettera di Sebastiano a Michelangelo, ci racconta la vicenda:

Addì 29 aprile 1525. Compare mio caro, poste salutationes: non vi meravigliate vi sia molesto nel scrivere, perché io son forzato a darvi noia perché non posso fare di manco. Io ho facto una tavola di altare a mes.r Joanni da Viterbo chierico di camera, con tre figure mazor del naturale, cioè un cristo alla colonna con due figure che lo frustino, come quelle di san pietro in montorio. Et decta tavola è fornita za due mesi, come mes.r Anton Francesco credo ve ne informarà, ché lui l’ha veduta, et sa quasi la nostra differentia: ché lui mi vorrebbe pagare a suo modo, et io vorrei esser pagato al mio, perché siamo obligati in forma camere una parte et l’altra, che io debio esser pagato quello è da esser stimato per due periti ne l’arte, in tanto che non c’è remedio alcuno da accordarne. Hora el decto mes.r Joanni si è delliberato a farvi iudice, et mandarvi la tavola a sue spese, et ritornarla, che vui la indichate, solamente per straciarmi a suo modo; et per alcun modo non vuol refferirsi al contrato”.

Come abbiamo detto, le due flagellazioni di Sebastiano del Piombo sono evidentemente parenti strette ma diverse tra loro per impostazione.

Quella di San Pietro in Montorio è infatti un vasto affresco – effettivamente un olio su muro, non di facile realizzazione, scelta dettata per dare alla superficie un lucentezza insolita, rispetto ai tipici affreschi rinascimentali – dove la struttura architettonica (e la sua prospettiva), in cui il Cristo e i suoi carnefici sono immersi, ha una significativa importanza nel contesto generale.

Il Cristo ha una potenza e forza tipica michelangioesca, è a grandezza naturale ed è inquietante

Sappiamo come Michelangelo aiutò l’amico nel concepire la Flagellazione di San Pietro in Montorio:

Onde acquistò Sebastiano grandissimo credito e confermò il dire di coloro che lo favorivano. Per che, avendo Pierfrancesco Borgherini, mercante fiorentino, preso una cappella in San Piero in Montorio entrando in chiesa a man ritta, ella fu col favor di Michelagnolo allogata a Sebastiano, perché il Borgherino pensò, come fu vero, che Michelagnolo dovesse far egli il disegno di tutta l’opera“.

Viceversa, la Flagellazione di Viterbo è una tela d’altare nella quale il contesto architettonico sparisce ed il numero dei carnefici si riduce da quattro a due. Se il carnefice di sinistra mantiene nelle due opere la medesima fisionomia, quello di destra è assolutamente diverso.

È possibile ritrovare la mano di Michelangelo anche nella tela di Viterbo ed il corpo statuario del Cristo lo dimostra appieno. Qui, però, troviamo anche la capacità tutta veneziana di usare il colore propria di Sebastiano del Piombo: una particolare congiunzione alla quale deve la sua fama.

Quest’opera magnifica che sta in San Pietro in Montorio da mezzo millennio (si ritiene essere stata eseguita tra il 1516 e il 1524), è stata sicuramente musa ispiratrice di un altro capolavoro di medesimo soggetto: la Flagellazione di Cristo di Michelangelo Merisi da Caravaggio, esposta al Real Museo Capodimonte a Napoli.

È bello immaginare Caravaggio negli anni di permanenza a Roma capitare in questa chiesa pressoché sconosciuta e incantarsi di fronte a quest’opera fortemente espressiva e che, avuta l’occasione, l’abbia messa olio su tela con la sua interpretazione e la sua forza espressiva.

Quella caravaggesca sviluppa infatti un’opposizione simbolica e tecnicamente quasi teatrale tra il giusto e i peccatori, la luce e l’oscurità, con il corpo di Cristo in un forte dinamismo che lo fa sporgere verso lo spettatore.

Ma questa è un’altra storia che – perché no? – avremo modo di trattare!

Anna Maria

 

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