E’ il 1599, l’11 settembre, esattamente. Michelangelo Merisi, a Roma da diversi anni, assiste all’unica forma di spettacolo consentita nella Roma papalina della controriforma: un’esecuzione capitale. Sale sul patibolo una giovane nobile romana, Beatrice Cenci, rea di aver ucciso suo padre. Roma invoca la grazia, perché Beatrice è innocente. E’ la committente, è vero, dell’omicidio ma Francesco Cenci che padre era? L’aveva plagiata, violentata e abusata per anni, da quando era appena quindicenne. Tutta Roma aveva sentito le urla della giovane, tutta Roma conosceva la depravazione del Conte Cenci. Gli appelli di Beatrice erano rimasti disattesi, perché il Papa non li aveva ascoltati. E così la giovane, con la complicità di suo fratello Giacomo e della matrigna Lucrezia, aveva organizzato l’omicidio. Oppio nel vino per stordire il conte e facilitare il compito dei sicari. La testa va giù. I frati di San Pietro in Montorio compongono quel fragile corpo, coprendolo di petali bianchi, e poggiano il capo reciso su un vassoio d’argento, con il messaggio implicito è una “vittima esemplare di una giustizia ingiusta”. E infatti, come tutti immaginavano, non appena morti i Cenci, il Papa confisca il loro immenso patrimonio.
Caravaggio è spettatore e ha il lampo, l’ispirazione. Sono due anni che lavora ad una grande tela dal soggetto biblico commissionatagli dal banchiere Ottavio Costa, ma l’ispirazione non era arrivata. Si fa largo nella folla, corre verso casa, ma prima passa da quella di Fillide Melandroni, una sua modella. Allestisce la quinta teatrale, come è solito fare, e realizza il suo capolavoro.
Lo sfondo è scuro, è presente un panneggio rosso in alto a sinistra e una parte minima del letto su cui giace Oloferne, nella cui immagine il pittore fissa l’acme emotivo: lo sguardo vitreo farebbe supporre che sia già morto, ma lo spasmo e la tensione dei muscoli manifestano il contrario. Caravaggio è rimasto infatti fedele al clima dell’episodio biblico: Giuditta usò la daga due volte, perché solo dopo aver invocato l’aiuto di Dio, riuscì a decapitare il generale. E’ una missione quella di lei, un compito assegnatole dal Cielo che porta a termine con riluttanza: le braccia sono tese, come se la donna volesse allontanarsi il più possibile dal corpo di Oloferne, e il suo volto è contratto in un’espressione mista di fatica e orrore. Accanto a Giuditta, Caravaggio ritrae una serva molto vecchia e brutta, come simbolico contraltare della bellezza e giovinezza, sottolineando così, con l’artificio artistico della fisiognomica, l’incarnazione dei grandi valori morali.
Ma qual è l’antefatto?
Giuditta è una giovane vedova ebrea, molto bella. La città è assediata dal terribile generale e re assiro Oloferne. Venuta a conoscenza che il capo israelita, non sapendo come ormai resistere, fosse disposto a cedere la città, si rivolse ai Capi Anziani, rimproverandoli di avere poca fede nel Signore. Poi, credendo e sperando che Dio l’avrebbe aiutata, si vestì e si agghindò in modo da essere attraente agli occhi del capo nemico e si recò da Oloferne con una ancella. Catturata, fu portata innanzi al re che, colpito dalla sua bellezza, pensò di farla sua. Giuditta raccontò al generale che il popolo ebreo aveva gravemente offeso il loro Dio che le era apparso per dirle di aiutare Oloferne a entrare in città. Oloferne cadde nella trappola e fece preparare un gran banchetto e volle che la bella ebrea si sedesse accanto a lui. Giuditta finse di esser ammirata della forza di Oloferne e durante il banchetto si mostrò compiacente e docile con l’uomo che mangiò e bevve il vino nel quale, non vista, Giuditta aveva opportunamente versato dell’oppio….
La stessa storia o una storia che si ripete, ma la conclusione è diversa, però.
Mentre Dio aiutò Giuditta a compiere l’omicidio elevandola poi al ruolo di eroina del suo popolo, il Papa, quel Clemente VIII Aldobrandini, per il vil denaro che tanto lo allettava, mandò al patibolo la dolcissima Beatrice.
Un quadro denuncia della corruzione vigente. Per questo, il più bel quadro di Caravaggio!
Anna Maria
Visita tematica: Beatrice Cenci, nei luoghi di una tragedia storica
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