Quando Gaio Giulio Cesare Ottaviano, non ancora Augusto, arrivò in Egitto, dopo aver sconfitto Marco Antonio e Cleopatra ad Azio, rimase abbagliato dalla bellezza e dalla ricchezza di questa nuova Provincia romana.
In particolare fu affascinato dal Mausoleo di Alessandro Magno e dagli obelischi, soprattutto dal loro significato: contenevano un raggio di sole, ovvero del dio Apollo, la sua divinità tutelare.
Fu così che ne dispose l’importazione a Roma, danneggiandone molti e abbandonandoli lungo la via.
Il primo integro che arrivò fu quello che oggi giganteggia in Piazza del Popolo, ma che lui lo pose nella spina di Circo Massimo.
Il ritorno a Roma del trionfatore pronipote di Giulio Cesare cambiò di fatto l’assetto dell’Urbe, in primis nella realizzazione di un grandioso progetto, realizzato a proprie spese, per la riqualificazione di Campo Marzio, un’area fino ad allora incolta.
Lì, seguendo le regole vigenti, volle posizionare una imponente tomba dinastica, più grande e più bella di quella di Alessandro, ponendosi così al di sopra anche del più celebre conquistatore e stratega di tutti i tempi.
Circa 90 metri di diametro, 45 metri di altezza – inferiore solo al Palatino (50 mt) e all’Aventino (46 mt), i due colli legati alla fondazione di Roma – un grattacielo dell’antichità, sormontato da una sua statua di bronzo dorato alta ben 5 metri che vigilava e proteggeva la città ma di fatto era visibile da ogni punto di Roma.
Luogo precluso alla frequentazione del popolo all’interno, era circondato da giardini fruibili da tutti all’esterno.
Scrive lo storico e geografo greco Strabone, contemporaneo di Augusto: “Campo Marzio reso bello dalla natura e dalla cura degli uomini, l’ampiezza di quella pianura è mirabile e offre uno spazio aperto utile al correre dei carri, dei cavalli e da quella gran moltitudine che suole esercitarvisi alla palla, al disco e alla palestra. Insomma, l’insieme offre uno spettacolo da cui l’uomo non può distogliere i propri occhi senza dispiacersene”
Grazie alle sue parole, possiamo figurarci una distesa verdeggiante, un’oasi di quiete nella quale era possibile passeggiare ma anche allenarsi, un’ottima soluzione per il corpo e per lo spirito. Qui si era abbastanza distanti dall’area urbana centrale, considerata sacra, motivo per cui i soldati potevano svolgere l’addestramento militare e i generali vittoriosi potevano transitare con l’esercito ancora in armi di ritorno dai propri impegni militari; qui il trentaquattrenne Ottaviano decise di dare vita a una parte fondamentale del proprio progetto politico, costruendo quegli importanti edifici, di grande significato simbolico: il Mausoleo, appunto, celebrativo della Gens Julia, nelle cui vene scorreva il sangue di Venere e di Marte, il Pantheon, costruito nel punto in cui Romolo, suo progenitore, ascese al cielo divenendo di fatto il dio Quirino, e l’Ara Pacis Augustae, celebrativa di una pace raggiunta grazie ad Augusto e garantita solo dalla sua discendenza.
Tutto cambiò Gaio Giulio Cesare Ottaviano, dando però l’impressione di aver lasciato tutto invariato, ricordando ogni giorno che nessun uomo poteva porsi al di sopra della Res Publica, ma di fatto facendolo con l’avallo del Senato, il massimo potere di Roma che si sentiva smarrito senza la guida di quell’uomo “cresciuto” augustus, appunto.
Entrare oggi nel Mausoleo è un’emozione nella gola.
Quel che resta è lo scheletro di ciò che fu: saccheggiato, trasformato, profanato.
Ma camminare nelle sue mura è camminare nella storia di Roma, è camminare accanto a quell’uomo che trasformò la vecchia Repubblica nel nuovo Impero, avviando una grandiosa riorganizzazione dello Stato destinata a durare per secoli, senza violenze ma con prudenza e lungimiranza, apparendo sempre come un protettore delle antiche istituzioni repubblicane, l’artefice di un capolavoro politico senza eguali nella storia.
Anna Maria
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